Coastal ‘Halfway To You’

(Words On Music 2004)

Coastal è il nome d’arte di un gruppo di tessitori di fiabesche trame soniche che, in termini letterari e pittorici, potremmo definire, rispettivamente, romantiche e surrealiste.
Tre anni addietro, questa ensemble proveniente dallo Utah, con la propria omonima opera prima, si era inserita, con sensibilità e originalità non comuni, in quel filone contemplativo post-shoegazer, che ha più di qualche cosa in comune con i cosiddetti post-rock e space-rock, contrassegnato da una progressiva astrazione sonora, mediante un instancabile lavoro di assottigliamento e “vaporizzazione” di suoni e voci, volto al raggiungimento di una sublimazione emotiva, all’insegna del prevalere dei sentimenti e delle emozioni in sé, nella loro essenza, sul linguaggio che cerca di dare loro una definizione e, per questa via, una forma.
Il fragile e delicato minimalismo degli arrangiamenti, quasi impercettibilmente cadenzati, per non dire pressochè statici, pareva voler descrivere quel legame con la realtà materiale della nostra vita dal quale il gruppo pareva volersi liberare, rendendolo progressivamente più evanescente e sempre più prossimo a spezzarsi, aprendo finalmente la strada ad oniriche escursioni in dimensioni siderali.
In ‘Halfway To You’ (edito, come il debutto, dalla Words on Music di Minneapolis), assistiamo ad un’opera di affinamento del proprio sound da parte dei Coastal (e con l’aiuto di Helen Maltby e Mark Rolfe dei Lorna), i quali lo arricchiscono (anche onde evitare di essere etichettato quali semplici cloni di formazioni quali Low o Codeine) facendo ricorso a sottili ricami ambient.
Il risultato è quello di calare e diluire le scarne ed asciutte trame degli esordi in un indefinito e impalpabile contesto spaziale, nel quale la tenue realtà si perde nell’astrazione.
La nostra percezione di ciò che esiste svanisce con l’evaporare dei contorni e delle forme del mondo che ci circonda e con la perdita di significato di ogni definizione che noi possiamo dare, con uno strumento convenzionale e limitato quale è il linguaggio, dei sentimenti e delle emozioni.
Così, i testi delle canzoni consistono di poche parole semplici, sussurrate, duettando, da Jason e Linda Gough; parole che nella loro ordinarietà non vogliono affermare né imporre alcuna verità, nel timido tentativo di dare voce all’insondabile e, in quanto tale, indefinibile, di permettere al nostro cuore e alla nostra anima di parlare la loro vera lingua (quale che essa sia), al suono di timidi arpeggi di chitarra che si perdono dopo essere venuti chissà da dove.
Un simile tentativo, per quanto in qualche modo “eroico”, è tuttavia destinato a risultare vano.
Come nel caso di sculture di Brancusi quali “The Muse” o “Bird In Space” (volendo tracciare un parallelo, per quanto azzardato, con analoghe ricerche eseguite in altri e diversi ambiti di produzione artistica), infatti, la fuga totale dalla materialità, coni suoi vincoli e i suoi stereotipi, non è possibile e la manifestazione di ciò che ci portiamo dentro quale risultato delle suggestioni che riceviamo dall’esterno non può prescindere dai limiti insiti nella nostra comunicazione.
L’impossibilità di affrancarsi del tutto dalla realtà come la conosciamo, e ciononostante l’insistenza nell’irrinunciabile aspirazione al raggiungimento di tale obiettivo, fanno di ‘Halfway To You’ un anelito drammaticamente irrisolto, conferendogli una tensione di fondo, al contempo filosofica e spirituale, che fa del suo ascolto un’esperienza memorabile.

Voto: 10

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Autore: acrestani71@yahoo.com