Questo film è una storia d’amore e di fantasmi, illusioni: cosa c’è di più
illuso di un essere umano che ama?
Di Lucio Carbonelli
lucio.carbonelli@aliceposta.it
Difficile dire se il mondo in cui viviamo sia realtà o sogno, ci avverte il regista Kim Ki-duk. Questo, certo, quando uno ci riesce, a vivere. Cos’è che ci fa andare avanti? Questa è la domanda che ci pone il regista coreano. Com’è che la vita che ci sembrava brutta ed invivibile all’improvviso ci fa sorridere di felicità? Saranno le illusioni ad aiutarci ad andare avanti, questo sembra di capire da questo film. Sì perché questo film è una storia d’amore e di fantasmi, illusioni appunto: cosa c’è di più illuso di un essere umano che ama?
Il protagonista di questo film è un ragazzo, non sembra avere un lavoro, attacca dei volantini pubblicitari in giro, certo, ma per altri motivi. Infatti dopo un po’ ritorna nelle strade in cui ha affisso i suoi volantini e cerca quelle porte dove non sono stati rimossi: significa che i proprietari non sono in casa. Egli quindi s’introduce in queste case, case vuote, proprio come un ladro, ma in realtà ladro non è. Resta un po’ in queste case, ci dorme, si fa da mangiare, si lava, innaffia le piante, ripara le cose rotte, lava i panni a mano. È attento a lasciare tutto come ha trovato, se ha bagnato un libro ne stira con cura le pagine per esempio. Prima di lasciare la casa, da lì a pochi giorni, si farà una foto con l’autoscatto, insieme a una foto dei veri proprietari, proprio come se fosse un loro amico. Ad una prima occhiata può sembrare che questo sia un ragazzo un po’ strano che s’impossessi delle vite degli altri, almeno per un po’, ma è proprio così? A noi sembra il contrario piuttosto, e cioè a noi sembra che questo ragazzo porti un po’ della sua vita pura in certe altre vite che sembrano aver dimenticato dov’è la felicità: questo ragazzo si prende cura di queste case vuote e così facendo si prende cura anche dei proprietari. S’infila in queste vite come una carezza, regalando bontà, persisterà come una presenza, una presenza difficile da comprendere.
In un mondo dove uno dei valori dominanti è l’individualismo, questo ragazzo si nutre di vuoti e di interstizi; in un mondo veloce, questo ragazzo è lento; in un mondo in cui l’esistenza è misurata dal tipo di lavoro che fai, questo ragazzo non si preoccupa di cercarne uno; in un mondo che urla, questo ragazzo è muto; in un mondo in cui tutti vogliono apparire, questo ragazzo si nasconde e scompare; in un mondo violento, questo ragazzo si difende con una delle armi meno usate, come la mazza da golf numero 3 appunto: il sorriso.
Difficile parlarne di questo film, e non solo perché è quasi un film senza parole; bisognerebbe vederlo, e poi accoglierlo… Sì, perché è impossibile non accogliere la filosofia di questo film: zen, alla fine di questo si tratta.
Il mondo in cui viviamo sa ancora comprendere una storia così?
I poliziotti del film non si fanno capaci del comportamento del ragazzo e quindi lo incasellano nella burocrazia di un numero e lo picchiano anche, se necessario, perché si ha sempre paura di ciò che non si comprende; però questo ragazzo risponde alle loro violenze facendosi invisibile fantasma e disegnandosi un occhio sulla mano affinché possa vedere a 360 gradi.
Ecco, il fantasma, ma s’è detto che questa è anche una storia d’amore: e, dov’è l’amore?
L’amore è quello che scaturisce dall’incontro di due solitudini silenziose: in una casa che il ragazzo credeva vuota, troverà invece una donna a pezzi, sola, triste. Con la sua sola presenza, in quello che non si capisce se sia sogno oppure realtà, il ragazzo riuscirà comunque a salvare la donna, a portarle la felicità.
Qualcuno potrebbe dire che, sì, i protagonisti di questo film scappano dalla realtà, fuggono dal mondo. Ma se il loro fosse solo un diverso modo di viverla, questa realtà?
Vivere con leggerezza, quasi prendendo il volo, in silenzio.
Se un film si giudica (anche) da quello che ci da, e non solo per quello che ci mostra, allora questo film è un capolavoro.
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