Due Recensioni A Confronto. Kathodike!
1a Recensione Di Michele Massetani
THE AVIATOR
(L’aviatore)
di Martin Scorsese
U.S.A. 2004
Domenica sera, multisala, primo spettacolo alle 19.30, 80 spettatori circa, niente cena.
Un giovane texano eredita una montagna di soldi grazie al petrolio e li usa per fare il cinema, invece di spenderli per far carriera politica, e finisce la sua vita pazzo e paranoico (o viceversa) in un hotel a farsi fare trasfusioni di sangue dai Mormoni. Però si è divertito un sacco.
Cosa spinge tre “giovani” e “disobbedienti” (a proposito: continuiamo l’abitudine di non sederci nei posti assegnati dal computer. Piccola palestra di disobbedienza per tenerci allenati in vista di azioni più motivate) a vedersi tre ore di un colossal americano pieno di effetti speciali, di soldi e di propaganda… E a trovarlo anche bellissimo?!? Addirittura provando una sorta di immedesimazione con il protagonista (che per chi non lo sapesse era anche un viziato ragazzino che voleva comprarsi tutto e un uomo d’affari che progettava aerei spia per il governo). Secondo me si può racchiudere tutto in una parola: mitopoiesi. Un termine da intellettuali di sinistra che racchiude però bene il lavoro di Scorsese: analizzare a fondo la genesi dell’”impero” americano e narrarne le varie storie per ricreare nuovamente il mito. Con un’operazione niente affatto agiografica, il regista mette a nudo tutti gli aspetti della società-civiltà americana, accanendosi sui suoi difetti fino in fondo, senza apparente pietà. Per non essere tacciato di antiamericanismo ne lascio l’elenco a chi va al cinema. Mi piace sottolinearne soltanto uno: l’abitudine a considerare il popolo alternativamente come massa anonima di lavoratori da sfruttare per raggiungere i propri fini, serbatoio di voti nel periodo elettorale, o asfissianti e pericolosi rompiscatole quando rendono omaggio ai propri miti (ma non dovevano essere l’alternativa al comunismo e alle dittature?).
Tutto questo è fatto avendo sempre in mente che il Cinema è una grande scatola dei divertimenti. Che bisogna affascinare lo spett-a(t)tore con le immagini, ammaliarlo con la luce, soddisfare la sua intelligenza con le inquadrature. Il che non vuol dire ipnotizzarlo e schiavizzarlo come chi concepisce il cinema quale esercizio virtuoso di esplicazione del reale (non ho in mente nomi particolari quindi non me li mettete in bocca). Forse penso soltanto a come rapportare questo cinema in Italia, dove negli ultimi anni gli eroi sembrano essere rappresentati soltanto da giudici e magistrati, impegnati o a combattere gli affari della mafia o a tentare di ricordare tramite le sentenze che ancora può esistere una differenza tra un terrorista e un guerrigliero.
Ok! Ok! Ammetto che è difficile tentare un’operazione simile con i “protagonisti” della storia italica, ma Scorsese ci è riuscito e anche lui in questo momento non è che abbia esempi folgoranti! Va bene che Beppe Fiorello non è Di Caprio … Ma donne intelligenti e belle le abbiamo anche noi! Solo in letteratura mi vengono in mente casi riusciti, due su tutti: Wu Ming e De Cataldo. Considerando che anche in America in questo momento l’industria letteraria porta avanti di pari passo questo progetto, con Ellroy e de Lillo (due nomi che amo tra gli altri) io sono ottimista, di quell’ottimismo che è l’ultimo a morire…
P.S. Un ultimo commento sul fantastico lavoro di Dante Ferretti. Per quello che vale questo premio vogliamo un Oscar per lui. Sinceramente mi sento molto appagato vedendo come ha interpretato la Hollywood anni trenta, specialmente nel locale con le palme e la neve finti dove Howard Hughes passava le sue serate. Questo si che è “mitico”!
2a Recensione Di Lucio Carbonelli
lucio.carbonelli@aliceposta.it
Questo film ci racconta la storia di un uomo che vedeva troppo, un uomo i cui sogni lo hanno portato alla pazzia, un folle in scarpe da tennis che fin da piccolo aveva le idee chiare: guidare gli aerei più veloci, fare i film più visti, amare le donne più belle. Ecco le passioni di Mr. Howard Hughes: aviazione, cinema, donne; l’ordine d’importanza di queste passioni non è chiaro eppure si può dire che egli dedicò la sua intera vita ad esse: non era un ingegnere eppure progettò e costruì gli aerei più grandi e veloci dell’epoca, non era un regista ma diresse e produsse i film più innovativi e scandalosi dell’epoca, non era un uomo normale ma al contrario piuttosto eccentrico (un mostro?) però fu amato dalle donne più belle dell’epoca. Ma chi era veramente Howard Hughes resta ancora un mistero e anche questo film, bellissimo, non disvela del tutto la sua essenza: Hughes è incomprensibile perché i più preferiscono tenersi a distanza dal folle (il genio?) piuttosto che cercare di capirlo.
Hughes era uno dei pazzi sulle macchine volanti, ed una scena (è accaduto veramente?) è piuttosto indicativa del personaggio: “Mi porti delle nuvole”, disse un giorno sul set di uno dei film più inconcepibili e incredibili dell’epoca, ‘Hell’s Angels’, quelle nuvole gli servivano per mostrare quanto i suoi aerei andassero veloce, così come gli servivano ventisei telecamere, ventiquattro non gli potevano bastare, per girare una scena in volo. Basti anche pensare che Hughes all’epoca non aveva computer e diavolerie varie, eppure fece il film che fece, mentre Scorsese sicuramente avrà usato le tecnologie più avanzate per questo film: non è buffo?
Quelli costruiti da Hughes non erano aerei finti: “Sono Howard Hughes, l’Aviatore”, dirà ai soccorritori che accorsero sul posto di un incidente aereo a cui scampò miracolosamente perché, sì, dipanandosi il film, si inizia a capire che la passione principale di Hughes era il volo; perché se anche attraverso il cinema poteva mettere i sogni (mostrarli a tutti? forse i film li faceva prima per sé…) sullo schermo, costruire aerei significava rendere quei sogni realtà: alcuni uomini sognano il futuro, lui lo costruì…c’è scritto sulla locandina di questo film e non si poteva scegliere frase migliore per sintetizzare un personaggio come Hughes.
Hughes difenderà fino all’ultimo la sua compagnia aerea perché la voglia e il sogno di costruire aerei sempre più grandi e veloci era troppo forte, uscirà dall’isolamento solo per sostenere le udienze pubbliche che miravano a togliergli la TWA, trasformerà il processo in un contro-processo, perché tutto quello che voleva lui era poter dare la possibilità di volare a tutti: Hughes era un visionario, uno che vedeva oltre il suo tempo, un uomo che (si) chiedeva dov’era il futuro per raggiungerlo.
Ma a vedere troppo si esce pazzi, questa è la verità, è semplicistico individuare le ragioni della pazzia (ma nessuno provò a curarlo?!) di Hughes solo in una madre oppressiva e salutista che gli ripeteva la parola “quarantena”; “Io vedo cose che non esistono…” biascicherà spesso l’ottimo Di Caprio; perché quando i tuoi sogni iniziano a diventare realtà, e te li vedi proprio lì davanti ai tuoi occhi, inizia ad essere difficile distinguere cosa esiste veramente e cosa invece esiste solo nella tua testa; per questo Hughes passerà gli ultimi trenta anni della sua vita in preda alla sua pazzia, un uomo troppo proiettato in avanti per poter tornare indietro; morirà preda delle sue ossessioni e delle sue compulsioni, perso tra kleenex igienizzanti, proiezioni private e incubi interiori.
Scorsese, ancora una volta, ci racconta la storia di un uomo fuori dal comune, un uomo che (quasi) vive fuori dalla realtà, perché il suo essere è al limite della follia: con questo film Scorsese, senza paura, ci mostra quando il sogno (americano?) può diventare incubo. Onore a lui, quindi.
Ammirazione, ma soprattutto pietà, per Howard Hughes, un uomo il cui unico “limite” è stato solo quello di vedere “troppo”.