(Fringes 2005)
Nuovo lavoro per il concretista francese Èric La Casa ed è di nuovo
profondo stupore ed ammirazione.
Meraviglia bambinesca che ci rapisce, spazi reali ed immaginati che si vengono
a sovrapporre in una serie di stratificazioni sonore di bellezza abissale.
Suoni trovati, suoni rubati; respiro dell’universo che diventa materia.
Di dilatazione si parla, dilatazione del paesaggio, dilatazione delle pupille,
l’incanto della distanza, del tempo che diviene liquido amniotico in cui perdersi
e ritrovarsi; zen vibrante di luce.
L’introduzione poderosa che si stempera in nube gassosa fluttuante è raro
esempio di armonia estrema, quasi da lacrime verrebbe da dire.
Quel che si intravede dietro la densa coltre è un mondo scosso da leggeri
tremiti, quasi brividi; l’attimo in cui la razionalità si scontra e collassa
su di un istante moltiplicato migliaia di anni.
Poetica del non detto, del non visibile; eppure tremendamente tangibile
come poche altre cose.
Reale mappatura neurale di universi interiori muti che in un modo o nell’altro
appartengono ad ognuno di noi.
La parola in questi casi collassa inadeguata, si rimane soli ed esposti al freddo
senza nessun appiglio ulteriore che non siano i nostri sensi, ed allora accade
quello che deve accadere, un processo di riconfigurazione del sentire che
sposta un pelo più avanti la nostra soglia di comprensione.
La risultante ottenuta ci comunica per l’ennesima volta che questo universo proseguirà
la sua corsa anche senza di noi ma nel frattempo ci tollera benevolo, l’aereo
che ad un certo punto solca lo spazio sonoro è li per dimostrarcelo; non
abusiamo di questa concessione.
Da avere ad ogni costo per riscoprire il proprio battito del cuore.
Incantevole sogno fatto di terra ed aria.
Voto: 8
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