(Black Candy / Audioglobe 2005)
Chi non muore si rivede… torna a farsi vivo dopo anni di assenza (se si esclude l’ep del 2004) il redivivo Santo Niente con una nuova line-up, fatta naturalmente eccezione per il pilastro portante Umberto Palazzo, uno dei più importanti personaggi del rock italiano indipendente dello scorso decennio, prima del gruppo in questione attivo anche con Allison Run, Ugly Things e Massimo Volume (tra i fondatori della band bolognese)… insomma, una figura di tutto rispetto.
“Il fiore dell’agave”, prodotto da quella garanzia di qualità che è Fabio Magistrali, è un disco che ad un primo ascolto lascia spiazzati, magari perchè si pensa di ritrovare le sonorità pesanti di stampo grunge di album come “La vita è facile” e “Sei Na Ru Mo ‘no Wa Na ‘i”, senza considerare il tempo passato e il fatto che il vino, invecchiando, migliora. E in effetti, se si prova a lasciar da parte la nostalgia per ciò che è stato, tale miglioramento si nota, e che miglioramento: Umberto Palazzo ha realizzato con questo lavoro un distillato sopraffino del rock nazionale degli anni Novanta, miscelando alla perfezione il nichilismo e l’acidità degli Afterhours (e anche del vecchio Santo Niente), la poesia e i viaggi sonici dei primi Marlene Kuntz e la musica letteraria dei C.S.I., e ricoprendo il tutto di una pesantezza desertica, non esplicita come nello stoner, ma avente la forma di una nebbia calda, opprimente e grigia, tinta suggerita sin della copertina.
L’apertura è affidata alla triade Luna viola, Spirituale e Prima della caduta, accomunati da un’atmosfera sognante, massiccia ed eterea allo stesso tempo, e da una ritmica tribale che scandisce le strofe del leader, il quale, nonostante gli anni, non ha affatto perso lo smalto nel vestire di rock la lingua italiana e ce lo dimostra a più riprese con testi splendidi e diretti, senza tanti giri di parole, forse tristi ma più probabilmente disillusi a causa di una società che va sempre più a rotoli… di sicuro è cambiata la voce, meno cupa che in passato e più difficilmente riconoscibile.
L’esplosione finale di Prima della caduta, in cui Palazzo si improvvisa Manuel Agnelli, ci accompagna verso il cuore del disco, in cui c’è posto per i canti rilassati, soffusi e dimessi di Candele e Nuove cicatrici (quest’ultima risalente al 1999 e mixata dal Magister con l’aggiunta di strani fruscii in sottofondo), ma anche per il punk rock nevrotico di Facce di Nylon e soprattutto Le superscimmie, tiratissima e nevrotica, implosa nelle strofe e urlata a squarciagola nel ritornello; e al centro, in perfetto equilibrio tra questi due estremi, il brano uscito un anno fa, Occhiali scuri al mattino, presente qui col testo leggermente modificato che cita Tom Verlaine, Richard Hell e altri giganti della Blank Generation, forse un rispecchiarsi nella filosofia della scena newyorkese in questione quello di Umberto Palazzo, sta di fatto comunque che il brano è un perfetto esempio di rock originale e non banale, in cui la classe dell’artista da latente si fa esplicita nel mostrarci la grande maturazione avvenuta.
E così come l’album era iniziato finisce, con la musica che si richiude a riccio su se stessa nascondendo i suoi segreti: meno tribale ma più desertica e criptica Santuario (probabilmente il brano più vicino al Santo Niente del passato), visionaria e orientaleggiante L’attesa, ed infine Aloha, come suggerisce il titolo un perfetto commiato, relativamente sereno e rilassato, che pone sì fine al viaggio trasognato de “Il fiore dell’agave”, ma che qualche allucinazione postuma la lascia comunque.
Un ritorno migliore per un nome che da tempo si faceva desiderare non poteva esserci: non un disco che punta esclusivamente sull’impatto, ma un disco adulto che sa giocare al meglio le sue carte e riesce a catturare l’attenzione ascolto dopo ascolto trascinandoti nel suo mondo: un bentornato al Santo Niente.
Links:
www.santoniente.com
Voto: 9
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Autore: alealeale82@yahoo.it