(Glitterhouse / Venus 2005)
Cresciuta in Tennessee a razioni di honky tonk music e torte di mele, a Patsy Cline in breve la ragazza preferisce X e Gun Club spiaccicando le torte in faccia su babbo e nonno, bravi musicisti di bluegrass. Salvo poi tornare almeno parzialmente all’ovile come dimostrano le splendide melodie gothic country di questa sua seconda opera.
Dei Sixteen Horsepower meno ombrosi e drammatici? Una Loretta Lynn in acido? Comunque sia i dodici (non undici come indicato nella track list) brani di “The Luxury Of Sin” ammaliano e conquistano grazie alla voce ipnotica e sensuale di Leslie Woods (autrice di tutte le liriche) e alla sommessa ritmica della sua Dark Mountain Orchid: chitarra, basso, batteria, tastiere in punta di dita e, of course, banjo.
Voce dolente e sporca, chitarre liquide, l’ascolto di queste murder ballads è assolutamente consigliato a chi ama l’America rurale, Flannery O’ Connor, il noir e l’Appalachian gothic, qualsiasi cosa ciò voglia dire. Dall’iniziale Train (“”Train I ride where you going/You’re bound to New Orleans…”) alla tenue, sussurrata, I’m What, bluesata e chitarristica, fino alla stupenda Little Bit Of Me), è complicato restare indifferenti.
Inutile evocare influenze e più illustri referenti, ce ne sono troppi, ma Leslie Woods ha una sua personalità e sentiremo ancora parlare di lei.
Last but not least: al disco è allegata l’opera prima della Woods, “Velvet Sky” con tanto di packaging originale: di solo un pelo inferiore a “The Luxury Of Sin”.
Voto: 8
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