(Jazzaway, 2004)
Dalla Norvegia, terra di jazz, dove il genere è sempre popolarissimo, giungono i Core, energico quintetto formato e guidato dal batterista Espen Aalberg con il loro album avvolto in piacevoli colori fluo. Le note di copertina redatte dal sassofonista svedese Jonas Kullhammar raccomandano un bel “play it loud” e il consiglio appare realmente appropriato giacché è tanta la gioiosa potenza irradiata da questo dischetto. Senza pensare ad ipotesi di avant jazz futuristico, di moda presso altre etichette norvegesi tipo Rune Grammofon qui siamo in presenza di materiale abbastanza classico che spesso rimanda al John Coltrane periodo “A love supreme” o giù di li, come subito appare evidente nella prima traccia “Pharoah”, sicuramente un’omaggio a Sanders, con le sue poderose linee melodiche di sax soprano/tenore sostenute dalla sezione ritmica in levare e continuamente assediate dall’ostinazione pianistica a cui alla fine i fiati si arrendono e concedono il giusto spazio. Veramente un inizio travolgente, che avvolge il cattivo umore in una festosa esplosione multicolore. Ma per fortuna la festa continua per tutto il prosieguo dell’album con i musicisti costantemente ispirati a proporre materiale sempre eccellente sotto il profilo compositivo: robusto, potente, se vogliamo quasi rock, ma anche con quei giusti spunti accattivanti da un punto di vista melodico che compattano il tutto. Formidabile da questo punto di vista la cover (di un traditional africano) Zaire dove la musica viene lasciata libera di disperdersi in mille rivoli, che alla fine finiscono per convergere nel refrain condotto dal sax, senza disperdersi nel caos. Ma distinguere tra i brani è comunque solo questione di lana caprina. Travolgenti ed ispirati, forniscono un piccolo motivo di sorriso, anche a chi, come me, non mangia jazz tutti i giorni.
Voto: 7
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