(Häpna/Fringes, 2005)
Immagino che un giorno lo farò, purtroppo conosco bene la mia
capacità di dilapidare il denaro: piazzerò un
bell’ordine presso la Häpna Records e mi procurerò
tutto il catalogo di una delle più interessanti label di culto
odierne. Inutile dire che questo disco di Eric Malmberg non si sforza
nemmeno un po’ nel cercare di distogliermi dal compiere
l’insano gesto. Sembra un’oggetto strappato di forza dal
regno ovattato dei sogni e fatto precipitare sulla dura terra della
cosiddetta realtà l’opera di questo musicista svedese che,
come nulla fosse, provvisto di un semplice organo hammond e degli
effetti di qualche rudimentale beatbox (ok, le note di rito escludono la
presenza di strumenti diversi dall’organo, ma mi permetto di
dubitarne) confeziona questa sorta di scatola magica che risuona delle
sue melodie con lo stesso potere incantatorio che potevano avere i
carillon nella nostra infanzia. Non c’e’ niente di forzato
nel lavoro di Eric, tutto sembra muoversi in maniera assolutamente
naturale, leggiadro e ineluttabile, come il lento ma inesorabile
scorrere di un fiume. Difficile trovare dei referenti precisi per questa
musica, forse certi esponenti della ‘kosmische musik’
tedesca, in particolare i momenti più rarefatti dei Popol Vuh, a
cui aggiungerei comunque le opere di Arvo Pärt. Quasi in stato di
trance Malanberg snocciola uno dietro l’altro quelli che sarebbero
degli instant hits di musica pop in un mondo di fiabe abitato da elfi,
fate e simil-puffi che dimorano in casette di panzucchero e vivono le
loro vite all’insegna dell’innocenza e dello stupore. Titoli
dei brani in quella che per noi è un’astrusa lingua nordica
e che stridono amabilmente con l’immediatezza del messaggio sonoro
che rappresentano. Bastano poche note a creare meraviglia e rallentare
l’esistente, come dimostrano Undermedvetandet e Överjagel,
motivetti fuori d’ogni tempo, che si arrampicano verso il cuore e
toccano corde emotive sepolte e abbandonate nell’inconscio, la cui
scoperta quasi provoca imbarazzo. Språk och tankestrukturer emerge
all’improvviso dal nulla sospinta da semplicissimi impulsi ritmici
mentre l’organo gioca con se stesso in una girandola
d’effetti e melodie misteriose ma al contempo stranote, come se
fossero sempre esistite e semplicemente ne avessimo sin qui ignorato
l’esistenza. Chiude l’album la tenera malinconia di
Människan och tiden, che si affaccia alla vita dal buio, irradia momenti di
luce filtrati dalle lacrime e infine lentamente muore là dov’era nata.
Il sogno è finito, ora di svegliarsi. Consigliato indistintamente
a tutti, grandi e piccini. Astenersi solo i cinici di professione.
Voto: 8
Link correlati:Häpna