(Track & Field/Wide 2005)
Quando si dice – riscoprendo un termine che negli anni settanta incuteva paura e disgusto – supergruppo! Kicker è progetto nato dalla diaspora dei fantasmagorici Velocette (da recuperare assolutamente, trovaste in qualche bancarella i loro dischi ad una manciata di nichelini), Hood e Comet Gain, e giocano su quei filoni retrò che gua(r)dano indie, C86, nostalgie northern e sfiga che mai sarà trendy. E Our Wild Mercury Years si fa apprezzare in virtù di ciò. Intendiamoci, non hanno un oncia del talento Spectoriano dei Velocette o dell’ingenuo battere soul dei Comet Gain, eppure il disco fila sinuoso in un ascolto refrigerante perfetto per questi scampoli d’estate. Echi del Lloyd Cole più piacione (Doris Dear; Ghosts) e sbarazzini ricami che intersecano Auteurs e jingle jangle, con un apice nella carezza muscolosa di Don’t You Listen (To What’s His Face), quasi una reminiscenza McCarthy; a suggellare il proposito un rifacimento dell’inno northern soul Since You Left (Anno Domini 1965) prima di chiudere con Madelaine. Non avranno trovato la quadratura del cerchio, ma non è nemmeno detto che la si vada a cercare disperatamente ad ogni piè sospinto; ogni tanto le imperfezioni sono più intriganti e fascinose, come il naso della Streisand. O un disco dei Kicker.
Voto: 6
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