Sonic Youth ‘Sonic Nurse’


(Geffen 2004)

Ho sempre abbinato il concetto Sonic Youth al concetto di disordine.
Di un disordine possente, quasi maniacale.
Qualcosa é cambiato.
Come se un’arredatrice sulla cinquantina avente buon gusto da vendere e una donna delle pulizie, si fossero ritrovate per rivedere la composizione della stanza del noise, dove tutto nasce.
E devono aver toccato qualcosa di troppo.
Il disordine é diventato più elegante, più ordinato.

Probabilmente le pulizie erano già avvenute prima di questo disco, ma qui la sensazione é più netta.
Ma credo di parlare di un’evoluzione che, per quanto possa essere più o meno gradita, sia fisiologica.

“Sonic Nurse” é comunque un disco che si ascolta piacevolmente dall’inizio alla fine tra alti, medi e bassi.
Le chitarre seguono le loro linee in maniera concisa e ben raccolta, (effetto di Jim O’Rourke che già in “Murray Street” aveva influenzato il gruppo con la sua ricerca di riff ed intrecci più eleganti e curati) supportate da una linea di batteria secca e senza accenti, a volte quasi militare.
Il disco esordisce con Pattern Recognition, un perfetto brano pop noise cantato da una Kim Gordon ancora in forma..il classico pezzo da canticchiare e salticchiare al concerto ma che stufa dopo il quarto, quinto ascolto.
Non stufa invece, anzi tutt’altro, Unmade Bed, uno dei pezzi migliori del disco, dove i ragazzi sonici riescono a ritrovare quelle atmosfere violacee con le quali amano ancora circondarsi; un brano semplice ed incisivo ben interpretato da Thurstone Moore.
L’esatto contrario di Dripping dream una brutta e lunga copia di cose già sentite con chitarre senza capo né coda. Kim Gordon and the Arthur Doyle Hand Cream incuriosisce già dal titolo, ma si rileva poi un vecchio episodio noise che sfocia nel più classico dei ritornelli.
Tra deja vu e pezzi senza infamia e senza lode si arriva alla vera perla dell’album.
I love Golden Blue si apre con un’introduzione molto ambient che si trasforma tutt’ad un tratto, senza fartene accorgere, in un brano di quelli in punta di piedi, veicolo perfetto per l’ammaliante sussurrio di Kim Gordon. Il tutto permeato da una soffice grazia generale, un’aurea di purezza che tiene banco fino alla fine senza lasciar spazio ad innesti bruit o esplosioni.
Funziona.

E ti fa anche sentire un po’ in colpa per quel giorno che, un po’ scazzato, avevi paragonato la voce della Gordon a quella di una puttana che ha fumato troppe sigarette.

Carino anche il finale con Peace Attack

Restano un’icona i Sonic Youth; un Mare.
Ma forse un mare che manca oggi di quelle grandi onde improvvise che hanno esaltato e fatto naufragare nel noise una generazione lucida e malinconica.

Un mare piatto quindi..
ma giustamente, come dopo ogni tempesta.

Voto: 7

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Autore: stecampanari@libero.it