Aftherhours/Gutter Twins

 

 

 

 

 

 

 

@Roma 11-09-2005 -Villaggio Globale.

Di Mariagloria Fontana

alma777@alice.it

Roma, 11-09-2005,Villaggio globale. Assiepati, in copioso numero, al villaggio Globale per gli Afterhours. Ma la ghiotta occasione era l’apertura affidata ai Gutter Twins, ovvero: Mister Greg Dulli e Mister Mark Lanegan, assente in quel di Bologna per l’esibizione dei soci Q.O.T.S.A. I due, assieme alla band di Agnelli, hanno aperto la serata con brani inediti e cover tratte dal repertorio degli Screaming Trees, Queens of the stone age, Afghan Whigs e, persino, Leadbelly-Nirvana
Lanegan ha una voce che non si dimentica facilmente, ti avvolge, ti seduce ed entra lascivamente nelle zone d’ombra del tuo cervello. Penetra lo stomaco, è un po’ come la percezione dell’attore in senso artaudiano: devi sentire il dolore del tuo corpo per poi trasfigurarti…Bè, lui forse non si trascende, ma la sua voce fa bene e male al contempo ed echeggia come la migliore chitarra che un liutaio possa aver costruito e cesellato, anche se ha un peculiare suono ruvido, rotto, graffiato. Una voce che è corpo-di-dolore e, aggiungiamo, pura seduzione drammatica, rimanda ad altro da sé. Mutua il proprio disagio interiore e lo trasforma in arte . Mark Lanegan, sfatto, sguardo vitreo. I Gutter Twins, che gemelli poi non sono, se non per attitudine, hanno impregnato di atmosfere maledettamente cupe e malate le songs che si sono susseguite, sotto la spinta dei riff disposti morbidamente da Dulli. Quest’ultimo ha intonato diversi brani con una voice contraltare dall’effetto piu’ rassicurante,.meno maledetta, ma comunque coinvolgente. Quello che l’ex front-man degli Afghan Whigs e Lanegan ci hanno offerto è stato altamente abrasivo. Una rivisitazione piu’ soft di “autopilot”dei Q.O.T.S.A., “Where did you sleep last night”( dei Leadbelly )già coverizzata dai Nirvana, disperata e avvolgente.
Ma veniamo agli Afterhours. Macerie di dolore vengono eseguite da Agnelli e soci. La sottile linea bianca è un colpo basso, una stagione all’inferno che Agnelli dichiara apertamente, soprattutto a se stesso, non è un monito è pura auto-affermazione della propria disperata umanità, ma lascia senza fiato. Giusto il tempo per presentarsi in pieno centro nevralgico della nostra piccola esistenza. Esigue le vecchie glorie dei pezzi datati: rapace e poche altre, forse la scelta non è casuale per questo “concept-live”.Gli Afterhours danno maggiore spazio al disagio interiore dei nuovi brani.
Ammetto che, inopinatamente, il full lenght di ballate e il concerto promozionale, non li ho digeriti. Trascorsi e lontani mi sembravano l’adrenalina da leccare e la rabbia, intrisa di autoironia cui Manuel Agnelli e i suoi ci avevano abituati. Le aspettative erano un compendio di certezze, tutte da esaudire. Gli Afterhours live, di qualche anno fa, rendevano partecipi anche noi con caustica ironia e una certa dose di speranza. Stasera, invece, non c’è catarsi, nessuna purificazione, neppure una taumaturgica luce di sarcasmo a sopportare/supportare questa privazione. Male in polvere, la considerazione che il malessere ci ha già annichilito e possiamo solo farlo fluire nelle nostre vene, ma”torneremo a scorrere”. La pura attuale mancanza e privazione che emerge dal disagio dell’esistenza umana, suonato in questa esibizione, uccide l’io e prepotente subentra un Se che non lascia indugi. Può un uomo farci tanto male? Sì, potere evocativo ed immaginifico dell’afterhours del giorno dopo. Un long gone day che non finisce, se non con la coscienza che inverandosi ci si perde sempre un po’ di più fra iene, ognuno chiuso nel suo microcosmo, nella sua cella recitava un vecchio film di Bergman. E se Agnelli, in passato, denunciava la mediocrità , ora ne prende disperatamente atto.
Tutti ne siamo contaminati, il palco su cui suonano ne è pervaso. Chissà dove ci ( e “si” riflessivo…) porterà…l’erebo è già qui, fra di noi.