(Mutablemusic, 2005)
Immaginate un lurido Jazz club in un qualche angolo malfamato di una città come New York. L’orario di chiusura è stato sforato già da un bel po’, una donna del personale passa svogliatamente uno straccio per terra, qualcuno si attarda ad un tavolo con l’ultimo sorso di whisky ancora da consumare, mentre residui di fumo di sigarette disegnano tristi nuvole grigie. Nonostante tutto, con il mondo che sembra arrivato al capolinea e niente a lasciar immaginare che una nuova alba sorgerà ancora, c’è ancora musica nell’aria. Arriva da lontano, da qualche angolo scarsamente illuminato del locale, nessuno le presta attenzione, nessuno si rende conto che è in corso un botta e risposta drammatico tra il musicista e un qualche Dio sul senso ultimo delle cose. Suona così questo disco di Earl Howard, figura storica dell’avanguardia off americana, attivo anche nel campo dei live electronics, della tape music, delle composizioni da camera, ma essenzialmente virtuoso del sassofono. Una sorta di Anthony Braxton, forse senza la luce dei riflettori di questi. Come da titolo, cinque improvvisazioni al sax soprano, eseguite sicuramente con tecnica disumana, ma dal feeling naif, ingenuo, come gli scarabocchi dei bambini, ma allo stesso tempo con un afflato quasi mistico che commuove. Cinque esecuzioni solitarie, con lo strumento che si fa pianto, si tinge di malinconia, sorride, gioca con il latrare dei cani nella notte, insegue fantasmi, canta di ninne nanne dimenticate sul fondo di un baule. Musica per lupi mannari dal cuore di burro.
Voto: 7
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