Dawn Smithson ‘Safer Here’

 

(Kranky/Wide 2005)

Scrivendo di “It’s a game” di
Edith Frost, mi lamentavo della mancanza recente di
cantautorato indie al femminile ed ecco che mi ritovo tra le mani quest’altro
disco, senza contare la fresca uscita di “The Greatest” di
Cat Power. Dawn Smithson è stata parte dei Jessamine
con le loro contaminazioni kraute e ultimamente ha spesso suonato il
basso assieme ai masters of doom Sunn O))). Basterebbero
queste due esperienze per dimostrare l’eclettismo del personaggio, ma
ecco che quest’uscita da solista porta ad un’ennesimo, per certi
versi clamoroso, cambio di pelle e direzione, facendo approdare la
Smithson sui lidi di un folk chitarristico scarno e oscuro. Chiuso
completamente a riccio su stesso, l’album non rincorre facili melodie
o strutture lineari, preferendo un songwriting immerso in abissi di
solitudine e tristezza su cui non splende altro sole se non quello
della desolazione. Non servono neppure i numerosi ospiti presenti,
membri di Fontanelle, Jessamine, Nudge a
rischiarare le tenebre. Le stesse tenebre che hanno mosso
il Nick Drake di ‘Pink Moon’, il Neil Young più
riflessivo o certo Jandek. Non manca una buona dose di
sperimentazione, attraverso l’utilizzo di
strutture dissonanti, raddoppi vocali insoliti, giri di chitarra che
si avvolgono su se stessi. Il problema è che alla fine quanto
proposto suona troppo intimo, quasi lontano
dall’ascoltatore, come se l’autrice intrattenesse un dialogo con se
stessa, e la musica fosse stata composta solo ed esclusivamente per
tenere a bada le proprie angosce e i propri demoni interiori. Nonostante
molte canzoni non siano esattamente memorabili, non mancano comunque alcuni
bei momenti: il minimalismo circolare della title track, lo
scheletrico rock di Speak Through Me, la riflessione
politica di Letter To The Empire’
, il finale in crescendo su
bagliori di synth in New Day.

Voto: 6

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