Anno 1996: esce “Gioventù cannibale”, ovvero la prima (se non la prima la più
rilevante) antologia italiana dell’orrore estremo, orrore utilizzato come
strumento di ribellione al pedagogismo e al moralismo scellerato da sempre
presente nella cultura italiana, che ha sempre schivato, come afferma il
curatore della raccolta Daniele Brolli, un qualsiasi “immaginario del sangue”
prediligendo tematiche facili, innocue o comunque più digeribili da un pubblico
bisogno di sicurezze.
Un gruppo di scrittori catalogato con mille sigle pur di accerchiarlo tra le
braccia effimere di un movimento coeso: “Gioventù cannibale” (a testimoniare la
risonanza della raccolta stessa), “Pulp”, “Splatterpunk”, ad indicare una lingua
capace di divorare allo stesso modo musica rock, pubblicità, feticci del
consumismo, pornografia ed ettolitri di sangue, ma in ogni modo nomi che, come
tutte le etichette, non sono capaci e nemmeno interessate a sottolineare le
differenze tra i singoli scrittori.
E così, se Ammaniti e Luisa Brancaccio raccontano una nottata da
incubo a base di coca, sesso, canguri e violenza, il tutto immerso in
un’atmosfera assurda che testimonia, seppur iperbolicamente, il vuoto dei
giovani incapaci di dare un senso alla propria vita, Alda Teodorani si
immerge più nel male sociale, con una storia tremenda (“E Roma piange”) da far
accapponare la pelle avente come protagonisti i senzatetto della stazione
Termini della capitale.
Un assurdo più stilizzato lo ritroviamo invece nel solito Aldo Nove,
solita storia leggibile anche da un bambino (per la forma non per il contenuto)
con protagonisti due idioti tipo Beavis e Butthead che vivono giorno dopo giorno
tra centri commerciali, Iva Zanicchi, giudizi sui “teroni” e film porno di serie
Z, prima del solito finale strampalato che però dal punto di vista di Nove
sembra del tutto logico; anche un racconto di Daniele Luttazzi, capace di
mescolare comicità e vivisezioni con una metodicità che risulta però troppo
artefatta, così come nella storia di Pinketts, in cui l’effetto shock
resta intrappolato nelle gabbie del racconto noir.
Più lineare il racconto epistolare di Governi, una storia d’amore tra
adolescenti dark metallari che finisce non nel migliore dei modi;
un aggettivo per descrivere quello di Curtoni potrebbe essere invece
allucinato, con personaggi che si muovono come zombie nelle cattedrali della
città odierna; chiudono Galiazzo, racconto non entusiasmante ma che
contiene una bella introduzione sulla dipendenza della gente dalle brutte
notizie dei tiggì e dei giornali, quasi una mania religiosa; Massaron,
che più che sull’effetto di disgusto punta a toccare le corde del cuore con una
triste storia di emarginazione infantile; Caredda, che riesce a
descrivere con minuziosa e sadica lentezza l’umiliazione assoluta della bellezza
femminile, un incubo che lascerebbe molto pensare il novanta per cento delle
fighette senza cervello che popolano questo pianeta.
Un libro la cui lettura sicuramente non provoca piacere, ma se lo scopo della
letteratura è quello di suscitare reazioni ed emozioni a chi ne viene a
contatto, statene certi, “Gioventù cannibale” ci riesce in pieno.