(City Centre Offices / Baked-Goods / Wide 2005)
Quasi senza accorgersene ci troviamo già alla seconda uscita per Henrik Jonsson dopo l’omonimo EP di esordio realizzato un anno prima sempre per l’etichetta berlinese. E se di mesi ne son passati davvero pochi, quasi a voler affermare una continuità temporale tra i due lavori, in realtà a livello musicale la differenza c’è eccome, e si sente tutta. Composizioni strumentali continuamente in bilico tra distese oniriche e accumuli di tensione, tentando di trasportare al presente intuizioni che già furono di Brian Eno e dei Kraftwerk quasi trenta anni fa.
Registrato nei boschi della Svezia, il disco pare aver assorbito il clima freddo e desolato di quella terra, travalicando probabilmente le stesse intenzioni dell’autore, e relegando la componente umana ad un ruolo che pare piuttosto marginale.
Il terzetto di canzoni imperniate sul pianoforte (Soft Airgun & Electric, Watts Towers e Talk Is Cheap, Swords Are Sharp) nella prima parte è senza dubbio la cosa migliore che verrà fuori negli oltre 50 minuti dell’intero disco. Loop minimali alla ricerca della melodia in grado di incantarci e regalare un istante di ascensione, niente di sorprendente, ma per lo meno gradevole. E anche la lieve virata nelle successive esplorazioni ambient molto rarefatte (Dina Upptäckter Ritar Kartan) è di buona fattura, spingendosi in territori contigui e creando un atmosfera via via più distesa e serena. Poi però ci si perde. Completamente. Scaglie di drone nemmeno poi convinti, synth dai suoni improvvisamente acidi e talora perfino insorgere di un beat pigro, ancora intermezzi ambientali, a questo punto del tutto inutili nel nuovo clima creatosi. Peccato per l’intreccio davvero ben articolato di chitarra acustica e piano in Datta Är Kärleken Som Dansar che meriterebbe ben altra collocazione di quella riservatagli. Poesia di rara bellezza circondata da materiale forgiato da mani ben più ruvide e indecise. Quasi un mistero.
Scomposto, disorganico e frammentario quasi fosse una raccolta di lavori disparati (Ta Med Skogen Hem e Futuristic Rasta Money accozzano perfino su una compilation da edicola) invece che il primo vero album in studio realizzato da Jonsson. Morale, qualche episodio indovinato e parecchia confusione, e anche se il materiale presente è di discreto livello non possiamo certo definirlo un lavoro compiuto. Una pallida sufficienza quindi, con tanti saluti allo stile City Cente Offices ormai disperso chissà dove.
Voto: 6
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