(Discus 2005)
Alcune firme importanti della critica musicale internazionale non hanno lesinato nel porre complimenti di notevole spessore sulla free-form jazzistica impeccabile ‘militata’ dal Grew Trio: ovvero Stephen Grew – il fondatore – al piano, Mick Beck con sax tenore, fagotto e fischietti e Philip Marks alla batteria ed alle percussioni.
Ancora una volta si incrocia come supporter quella Discus (strano gioco di parole con cui non si non pensare alla indomita Incus del grande Bailey) da Sheffield che nella storica figura di Martin Archer – prode musicista improv del Regno Unito – scova il perno principale di tutti gli ingranaggi artistici ed ideativi, distintivi per l’etichetta. I voti eretti sembrano andare tra parentesi in direzione della label e proprio da Daniel Spider di Jazzwise veniamo a conoscenza di come goda di ottima stima e fama una realtà musicale a noi totalmente sconosciuta. Spider suppone che in un ipotetico futuro quando la storia dell’improvvisazione radicale britannica sarà terminata (speriamo mai) i testi che narreranno la vita del movimento free, metteranno la discus e l’attività di musicisti come quella del Grew trio, tra i capitoli più significativi e trascinanti di questo lungo tragitto.
E noi, dopo aver teso l’orecchio con senso di stupore allo scoppiettante “It’s Morning”, non possiamo che approvare le tesi del giornalista e raffrontare le irruenti note sciolte del trio alle gesta eroiche e liberatorie di grandi firme, quali Tony Oxley, Derek Bailey etc., e per emigrare dall’U.K. con stelle lucenti come il disarticolato Han Bennink e il seminale Albert Ayler.
Il lavoro viene registrato nel freddo inverno del 2005 e non fonda nessuno dei suoi imput vicino ad atteggiamenti e/o movenze accademiche: a tratti si presenta appuntito ed aggressivo, come solo Ayler seppe fare nel jazz, in altri frangenti sfiora situazioni che lambiscono stati offuscati di ‘umorismo’, in altri ancora giunge a rasentare ambienti sonori contemporanei; e sotto questo aspetto lascia molto intendere la scuola del piano – Monk-iano quanto Cage-ano – inoltrata da Stephen Grew.
Tutte le sostanze qui richiamate, possono essere facilmente reperite attraverso il cammino di un unico brano: la title track, ad esempio, che pone la sua essenza come un organismo a ‘tre punte’, un triangolo astratto dove dissonanza, calore, ritmo e freddezza si scontrano con fare piacevolmente orgiastico. Cercate di carpire l’anima avventurosa di questi musicisti che mediante la tradizione -afro-americana – formano dei dialoghi intrisi di modernità e privi di ogni – finto – perbenismo.
Fatevi corteggiare dalle sghembe improvvisazioni di Good Form and a Bit of Ankst, dai rantoli del suo sax, dalla (a)ritmica scomposta, dal piano a-melodico; non voltate le spalle ai gemiti, al godimento del creare suoni ‘scacciato’ dalle bocche degli stessi protagonisti che incitano il ritmo in quel colpo al cuore che è Let’s Go; fatevi calpestare dai suoni di un piano preparato, ‘fottutamente’ minimale come in To the Woods, oppure buttatevi con tutta la forza dentro i rombi acuti di un fagotto scontroso che domina gli animi di Getting Hungry, For Stalactites …
Gli amanti dell’improv-jazz cerchino di non lasciarsi sfuggire “It’s Morning” dalle mani; per essere sicuri di reperirlo basta contattare direttamente la Discus stessa, facendo magari un giro sul proprio sito.
Non siate restii.
Voto: 8
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Autore: mariacenci@alice.it