(Kranky / Southern Records / Wide 2005)
Brian McBride non è un nome particolarmente conosciuto presso le cronache del lontano universo musicale a stelle e strisce. Sporadiche notizie lo presentano come attento chitarrista attivo, da una manciata di anni, nei pressi di Austin. La sua collaborazione più famosa rimane quella a due con Adam Wiltzie – dei più pop-olari Windsor For The Derby e nei Bedhead – nell’attuazione dei Stars Of The Lid.
Sei sono i dischi sfornati da questa realtà e quasi tutti, fatta eccezione per il primo “Music for Nitrous Oxide” (1995) licenziato dalla francese Sedimental, sono stati prodotti dalla post-rock label, Kranky.
L’universo sondato dalla coppia era, ed è, quello dell’ambient-drone malinconico: emozioni-tensioni che incantano in modo specifico i sensi di McBride e, quindi, coordinate tracciate continuamente nella propria musica: sia quando il sapore è maggiormente elettronico, sia quando l’uso di mezzi acustici predomina il campo. Se pensate, anche solo per un istante, alle produzioni ‘Love Drone’ della britannica Ochre (Charles Atlas, Kawabata Makoto e altri ancora) oppure alle esperienze post-minimaliste di casa Cold Blue, per buona parte, avrete centrato l’obbiettivo dell’opera.
Tornando a noi, bisogna ringraziare proprio il buon Wiltzie per essersi, negli ultimi tempi, dedicato con maggiore intensità alla redazione del nuovo album dei Windsor (“Giving Up The Ghost”) se l’estro ‘timido’ di Brian sia riuscito a (s)cacciare forza, coraggio ed una cospicua fetta di bravura per la scrittura del primo progetto solista della carriera.
“When The Detail Lost Its Freedom” è registrato senza alcuna fretta, in un andirivieni lento tra Los Angeles e Chicago, la sua ossatura è fatta di continue smussature e di infiniti ‘taglia e cuci ’.
Ho letto molti paragoni che stringono le trame di McBride (solo in parte) alla scena wave dei primi anni ’80, dove vediamo sbucare un altro Brian… Eno.
E probabilmente, nel udire l’inizio della Overture, il dondolare pacato degli archi e la parsimonia ostentata del piano nel suonare, si ricorda qualcosa della materia Eno-iana, racchiusa tra le pieghe di “Discreet Music” e “Ambient 4: On Land”…
Esiste e viene percepita una matrice intima, mentre altri ricordi ‘altrui’ spingono in un passato conteso tra le note di Ryuichi Sakamoto e David Byrne (Piano ABG, una tra tutte). Scivolando nel presente, si può immaginare con molta sicurezza che Stefano Pilia si troverebbe decisamente a suo agio, nel venire a contatto con l’anima di Brian: ciò che architettava nei primi periodi, il chitarrista dei ¾ Had Been Eliminated, era una mistura di chitarra drone e ambient, piacevolmente influenzata dal laconico blues di Loren M. Connors; altra fonte di un certo peso nella corporatura di questo cd.
Nella fase successiva ad una prima registrazione hanno preso parte al ri-modellamento di alcuni brani, una discreta fila di ospiti ed un paio ensemble, a sfondo accademico; tra questi vale la pena ricordare il Morgan Park Step-Up Trumpet Section (sobrio e ricercato in The Guilt Of Uncomplicated) e l’Island Empire Symphony Quartet, da ripensare con lode nel cammino reiterato di Retinir.
Our Last Moment In Song – titolo profetico – è l’unico frangente in cui a rivelarsi è un voce… quella femminile, vagamente darkeggiante, di Cheree Jetton. Flashback di scuola 4AD si scorgono sempre più all’orizzonte.
Il ruolo principale è quello di una chitarra trattata (con molte probabilità, mediante un cospicuo uso dell’archetto) e dei propri drones, creati senza nessun ausilio da parte di tastiere e sintetizzatori: una precisazione su cui torna più volte lo stesso McBride, con avvertimenti specifici, sia all’interno del booklet, sia nelle infos.
Quasi a voler dire che la musica, se fatta ancora da una sola e semplice chitarra, può riuscire ad accendere (in noi) sensazioni disarmanti, quanto godibili.
Un (gran) modello di ciò è dato da Stringer to Light Feed Frenzy, scritto con l’evoluzione tratteggiata – dal forte retrogusto elettronico – di una sola e inconsolata chitarra. Il brano più semplice tra i 12 ‘in gara’, ma sicuramente il più affascinante, perché costituito da pochi e semplici elementi, capaci di spiazzare l’orecchio più incallito a suoni di fattura ‘non convenzionale’ e di ri-spolverare con eleganza la classe di un genio, quali il portoghese Nuno Cannavaro.
Tra i miei preferiti del 2005, senza ombra di dubbio…
Voto: 8
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Autore: mariacenci@alice.it