(Autoproduzione 2005)
Nadia Comaneci, tra le atlete più importanti ed affascinanti che lo sport del 900 ricordi, conquistò rapidamente i cuori di mezzo mondo, a partire dalle lontane e storiche olimpiadi in quel di Montreal nel 1976. Rumena di nascita e ginnasta artistica, la Comaneci era solita districarsi nei propri esercizi come una libellula; agile ed aggraziata, in un certo senso, arrivò a pagare la sua notorietà presso il regime (allora imperante) di Ceaucescu, il quale non esitò ad (ab)usare della celebrata immagine che la giovane si era costruita, per meschini atti di propaganda nazional-popolare.
Approdati a questo punto, vi chiederete, perché abbia deciso di aprire la recensione narrando dei brevi accenni biografici, inerenti la vita di Nadia. Il motivo più importante (e palese) lo si scova nella scelta optata da Andrea Carella – chitarra e voce – Francesca Amati – chitarra classica e voce – e Jenny Burnazzi – violoncello – di battezzare questa giovane avventura, sui sentieri del (avant) folk moderno, ponendo come nome al trio un chiaro omaggio verso la grande sportiva. Ma, più importante, denominare un gruppo con un nome simile può svelare un mood in cui la tensione massima si basa su stati d’animo sereni, fragili…
Ed allora ecco cari signori, arrivare con un primo ep, interamente auto-prodotto secondo un buon gusto artigianale, i Comaneci: venuti alla ribalta poco tempo fa anche grazie alla preziosa collaborazione con S. Mordini nella stesura della colonna sonora del proprio film, “Provincia Meccanica”.
I’ll Be Back Soon: una ballata la cui semplicità disarma e intenerisce anche gli animi più burrascosi per opera di una line-up dolce senza uguali; la voce della Amati si staglia su melodie sfibrate da ogni inutile abbondanza, però, non prive di quel soave calore che allaccia il trio al fascino degli esordi di Cat Power, nel periodo più intimo di “The Cover Records”: quando la cantautrice statunitense non si era ancora ‘macchiata’ del successo (attuale) e dove si lasciava trasportare senza opporre ‘resistenza’ dal carattere rustico del low-fi.
Mazzy Star, Mazzy Star e ancora Mazzy Star: Hope Sandoval e quel suo modo di acquarellare folk-songs, pacato e riflessivo, si annida tra le maglie di questo ‘piccolo’ gioiello, cotto al punto giusto da atmosfere malinconiche quanto bucoliche.
La chitarra, pochi accordi e qualche arpeggio ‘bisbigliato’, un violoncello che vibra con morbidi toni cupi e ancora una volta la voce, notturna e sognatrice, protagonista indiscussa di Life Guard. Proseguendo, in Little Monsters, possiamo scovare il tempo per scoperchiare (per sentire e risentire) un contenitore di motivi country e di avviluppati pizzicati al violoncello che contribuiscono a disegnare sofisticati contrasti ritmici. Anche Our Truth sbozza il proprio ingresso in situazioni affini ma conclude l’itinerario, alzando il volume dell’intensità con un fotofinish all’insegna della chitarra elettrica.
Tradizione a tutta birra nell’allegro motiv(ett)o posto in chiusura da I Didn’t Think The Same: melodia briosa su tutti i fronti, viola spensierata e ponderate spruzzate di armonica riconducono il folk dei Comaneci alla stregua di grandi del passato della stazza di Donovan e Bob Dylan.
Una primavera folk italiana in ottima salute!!!
Voto: 9
Link correlati:Comaneci official site
Autore: mariacenci@alice.it