(Karaoke Kalk 2005)
Pop, pop, dannatamente pop, il che può essere un bene o un male a seconda dei punti di vista, dei gusti personali e di chi lo fa. Temo non ci siano mezze misure per questo secondo album del musicista tedesco Roman, o lo si ama o lo si odia. Nel mio caso la seconda opzione è immediata, irrevocabile e fa sì che difficilmente “So Ghost” possa trovare spazio nel mio lettore cd oltre il breve tempo necessario per scrivere questa recensione. Non metto in dubbio il fatto che l’artista abbia in dotazione una voce decente, profonda e piena, articolata quanto basta, ma la musica risulta francamente insostenibile nella sua forma di scialbo cantautorato elettro pop. Uno stile che ricorda, a voler essere generosi, i Depeche Mode, ma più leggeri e gioiosi, la Bjork dei primi dischi, ma con meno inventiva, certo David Sylvian, ma senza i suoi gran colpi di classe, i Blur, ma completamente privati di spessore; il tutto ulteriormente infestato da un florilegio di beats a vuoto, e soprattutto di “graziosi” coretti vocali, che vanificano ogni sforzo. A nulla serve dimenarsi tra una miriade di atmosfere, sia pure nel comune denominatore dagli elementi di cui sopra, passando da ritmi tipicamente techno, languori romantici da cuore spezzato, fiorire d’archi e country/folk, per produrre dei risultati che vadano oltre la (improbabile) suggestione del momento. Capisco che brani come I Found Love, True Love Owes Us Shit e Skiver potrebbero fare facilmente sfaceli tra certo pubblico a cavallo tra indie da radio, club danzerecci alla moda e MTV, ma si tratta di una potenziale platea che immagino molto diversa da quella che segue queste pagine.
Voto: 4
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