Fluo E Luminal.
Di prettylilditty
In verità Isabella Santacroce non ha da dirci un tubo.
Ha una veletta molto gothic calata sugli occhi, un rossetto prugna che spezza con la sua pelle lunare e un difetto vistoso: è senza ironia.
Ultimamente appare in abiti sadomaso sulla stampa di mezza Italia intrappolata come un salame in ragnatele di lurex plastica e altri crucci di stilista dark.
Yaaawn.
Mode a parte, il travestitismo e la body art rappresentano derive minimal nel mare magnum della comunicazione non verbale, ma perché Isabella si prende così sul serio da pensare di provocare l’ulcera ai suoi lettori(!)?. La Santacroce gioca sulla polimorfia spaziando, all’occorrenza, dalla dolly plasticosa da sexy shop, alla lady dark demoniaca.
Sostanzialmente produce aria fritta, maschere ridondanti. L’elite mediatica finto–alternativa, fintamente interessata al talent scouting di scrittori in erba, il quarto potere d’accatto del bel paese la osannò in ‘Fluo’, prima fatica dell’autrice, sospendendo invece il giudizio sui successivi libri. ‘Revolver’, ‘Destroy’, ‘Lovers’ sono specchietti per allodole, sul degrado in cui sguazza un certo tipo di fauna giovanile, malamente godereccia.
Ẻ un trip avvilente.
Il solito balletto pulp, un helter skelter della fattanza trasgressivo-aggressivo, di efferatezze e sesso nei bagni pubblici di disco sulla riviera. ‘Luminal’ è l’acme di quanto detto sinora. Il grumo di noia che rappresenta quella paccottiglia di 150 pagine è superiore al potere della mia penna. L’autrice descrive le sue eroine nei termini di manichini asessuati e luccicosi, infilando a tutti i costi e senza pietà Tim Curry del Rocky Horror Picture Show e Lou Reed di Sally can’t dance. In ‘Fluo’ invece la scrittura è molto inusitata. Passata all’arido setaccio del relativismo, sembra crivellata da riferimenti a trends masscult, infarcita di espressioni globbish. Ẻ La storia di un tipo di umanità defraudata, di decennali conflitti familiari che non si risolveranno neppure al termine della lettura, di incomprensioni, paure collettive ed esperienze glamorose ed estreme. Le storie si avvitano su se stesse in modo inconcludente, così come i personaggi che strafriggono nel nichilismo più crasso, nell’abulia più becera. Ma
il vero guaio è che la Santacroce ci lavora a morte su ciò che scrive, per poi cercare di ottenere, al contrario, un effetto trasandato ed insincero. Il tutto è frullato da una penna senza sistema immunitario che dimostra quanto la scrittrice in questione abbia poca dimestichezza con I Fer-ri Del Mes-tie-re.
Si può credere in un talento così? Non ne vale la pena.
Anche un grande come Aldo Nove rovista impenitente in questa gioventù savanica. Ma almeno ti fa ridere.