(Gulcher 2006)
Dall’esplosione del rinato fenomeno del noise – con tutti i crismi del caso rintracciabili ad esempio nella comparsa di Todd (Amrep), Foodsoon (Dead C.) e le ultime opinionabili uscite Skin Graft (Aids Wolf) – negli ultimi anni si assiste ad un rinvigorimento del vecchio fenomeno del rock, tramite un ritorno alle sonorità off del caso, di un periodo che, seguendo una linea retta, comincia dai Velvet Underground e finisce nel calderone del No Fun Fest newyorkese. Dunque la formula pare essere assodata negli stessi punti di partenza: rumore, improvvisazione, free form e istinto. Nei Magik Markers ovviamente il tutto convive parallelamente, tanto che la seconda fatica del trio di Hatford procede su lidi già ampiamente dibattuti: un rock free form alle prese tanto con gli Stooges quanto con la visceralità senza freni di Albert Ayler. Se a livello di concettualità della proposta è tutto riassumibile con un nulla di nuovo sul fronte occidentale, il rimanente livello sonoro prospetta più sorprese: per prima cosa la modellazione a dir poco perfetta della materia rock dove nessun altro gruppo oggi può permettersi un lavoro simile (e sono lì a testimoniarlo le due jam facenti parte del disco, con tanto di evanescenza di ogni strumento nella California Side); in seconda battuta la completa lontananza da quelli che possono essere i modelli di riferimento (Dead C, Sonic Youth), affogando il tutto in una personalissima miscela di sciabordate dissonanti, marchio di fabbrica di un’istintualità rozza che allo stesso tempo tiene vicini e lontanissimi i Magik Markers dai terroristi noise degli ultimi anni. Chapeu.
Voto: 8
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