(For 4 Ears 2005)
Fredy Studer è un percussionista svizzero; uno di quelli defilati e
tosti.
La sua carriera ha inizio nei primi anni settanta e si snoda idealmente fra
la A di Abercrombie e la Z di Zorn.
Ami Yoshida è una vocalist giapponese, una trentenne piccolina, minuta,
ma non fatevi ingannare; lei è una howling voice.
Una forza della natura.
Il suo è un continuo varcare le porte dell’inaudito, nel 1997
realizza il solo “Spiritual Voice”; poi si dedica alla frequentazione
di altri artisti (da ricordare il progetto Cosmos con Sachiko M).
I due si ritrovano in studio a Zurigo per la realizzazione del quarto capitolo
della serie “Duos” che ha visto Studer collaborare precedentemente
con Robyn Schulkowsky, Jin Hi Kim, Joëlle Léandre, Dorothea
Schürch; Dj M. Singe.
Ora è il turno della piccola giapponese.
Un vero colpo di fulmine fra i due.
La Yoshida si contorce e soffoca, trattiene l’urlo ancorato al suolo e si produce
in una serie di vocal noises al limite dell’umano.
Studer intorno alle asprezze vocali innalza una fitta serie di segnali ronzanti
strabilianti nella loro essenza acustica pura (nessuna digitaleria in
questo lavoro).
Drones metallici che si levano da sferragliamenti terrestri per salire, ed ancora
salire in una sorta di catarsi sonica rovinosa in quanto a bellezza.
Verrebbe da paragonare il lavoro della Yoshida alle scorribande vocali di Sainkho
Namtchylak e Phil Minton (i primi due nomi che mi passano per la
testa…); ma non ci siamo.
Teatrali richiami per animali immaginari, possessioni primordiali e passione
divorante sottopelle; conturbante e prossima (veramente) agli eccessi della
Patty Waters immensa di Song Of The One (i Love) Or Love, My Love.
Un’incantevole grazioso incubo; soffice disperazione orientale.
Studer suona, dimentica di tenere il ritmo, si affida ad aritmie tribali, lascia
sfrigolare i piatti, evoca sgretolamenti secolari pietrosi generando rombi cupissimi.
Gratta e graffia la superficie, spontaneamente indica il percorso adeguato (non
il più facile) alla più giovane Yoshida.
Gli concede il tempo di riprender fiato e flirta amabilmente con il silenzio.
Strabilia letteralmente.
Strutture istantanee preziosissime, fitti dialoghi pre verbali, metalliche,
adorabili; cascate di suono puro.
Se fosse stato generato da un gruppo (industrial? glitch?) si sarebbe gridato
al miracolo; qui invece ci sono sono soltanto due esseri umani che si confrontano
in una zona temporale limitata dialogando fittamente sull’essenziale.
Lo stordente crescendo di cymbal del Duo 22, piacerebbe a Niblock
credo, la geisha gemente rituale del Duo 23; puro deliquio sensoriale.
Da assaporare lentamente; come si farebbe con un bicchiere di veleno.
Bellissimo peregrinare ai margini dell’umano.
Voto: 8
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