Ahleuchatistas ‘What You Will’

 

(Cuneiform Records 2006)

Nome assolutamente
impronunciabile, un autentico calcio negli stinchi di qualsiasi banale logica
di marketing e che già anticipa un approccio no compromise sia dal punto di vista musicale ma anche
da quello politico-ideologico, per questo strabordante power trio della North
Carolina, giunto con ‘What You Will’ a tagliare il traguardo del terzo album. L’apparente ermetismo del nome è in
realtà l’unione di Ah-Leu-Cha, titolo di un’improvvisazione di Charlie Parker, e di tistas, riferimento al movimento rivoluzionario
messicano fondato da Emiliano Zapata. Ad ulteriore conferma dell’attitudine da
guerriglieri terzomondisti in rivolta contro gli apparati militari-economici
dell’Impero ipotizzato dal cattivo maestro Toni Negri, giungono il fantastico artwork militante
del cd e titoli provocatori quali Remember Rumsfeld At Abu Ghraib e Ho Chi Minh Is Gonna Win. Ma parliamo di musica, che è quello che
maggiormente c’interessa. Rock strumentale, di devastante e metronomica
precisione ed efficacia, a cavallo tra math-rock, post-punk e progressive
illuminato, che al primissimo ascolto non può che portare al ricordo delle
memorabili gesta dei Don Caballero  ma a cui si aggiunge
un’attitudine più spietata, meno edulcorata; una veemenza esecutiva che spesso
e volentieri deraglia senza freni in quei territori grind, noise e art-metal
calpestati da gruppi quali Lighting Bolt, Melt Banana e Laddio Bolocko. Ma non c’è il solo attacco frontale, anzi, dato
che tutto è eseguito non senza una giusta dose di raffinatezza, con brani in
perfetto equilibrio tra improvvisazione e composizione, con frammenti melodici
e ragionati intervallati da incontrollate accelerazioni emotive. È quello che
ad esempio accade in Maybe Orange con quelle brevi cavalcate ritmiche al cardiopalma
dove sembra di essere un Vietcong inseguito da
lingue di Napalm che saltella tra mine antiuomo, mentre altrove si manifestano svariati colpi d’inventiva,
come nel funk bianco ultracompresso di Now, now is then, nelle angoscianti sospensioni di Before
di Law
che pare
volteggiare sull’orlo di un precipizio o negli scampoli blues di What you
are gonna do
. Piace
molto anche l’impatto strumentale così maledettamente diretto, privo di
fronzoli, con quella sezione ritmica secca ed essenziale e quelle parti
chitarristiche che sembrano trattate con l’acido muriatico: la viva pelle del
rock tirata via di forza per lasciarne solo lo scheletro segnato da grumi
sanguinolenti. Completano l’opera tre ottime tracce video. Un gran disco, che
suona autentico e sentito dalla prima all’ultima nota.

Voto: 8

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