(Music à la coque 2006)
Poche cose riescono a riempirmi di buono la vita, possiedo un carattere da sempre compagno di acuti stati di insofferenza.
E soffrendo anche il mio lato musicale di questa condizione, diviene un percorso alquanto impervio ‘rinvenire’ nel lettore materiale auditivo che scotti, affascini e, che più di tutto, si lasci ascoltare tutto d’un fiato senza mai battere ciglio.
I casi si potrebbero contare sul palmo di una mano, ma non essendo questa la sede di un articolo sui migliori dischi ascoltati durante la vita, passerei all’esame di “Trapping”: un gioiello d’altri tempi, 1983 per l’esattezza, che rivede dopo un bel po’di buio la sua meritata luce, grazie a Pino Montecalvo – membro dei sciolti e mai dimenticati Bz BZ Ueu – ed alla sua Music à la Coque.
Nei Bass Tone Trap, un sestetto formato da musicisti inglesi, sono due nomi a risaltare come punti guida di tutto l’entourage: Paul Shaft e Martin Archer, quest’ultimo incontrato proprio di recente per la sua incessante attività di direttore artistico della Discus, personale label con cui segue e supporta il circuito avant-improv di Sheffield e dintorni.*
Anche il gruppo dei musicisti di “Trapping” proviene per buona parte dal giro di Sheffield ed include, tra l’altro, i nomi out di Neil Carter, John Jasnoch, Derek Saw…
“Trapping”è un caleidoscopio di emozioni, il free-jazz o l’improvvisazione di marca afro-americana sono come la punta di un iceberg, dei tratti peculiari che sostano alla base per essere costantemente contaminati, o plagiati, da più ‘lingue’ musicali differenti.
Tra la partenza ‘slegata’ di Sanctified e l’aria da ‘favolosi anni ‘70’ di Africa Calling si respira un mondo fatto di No Wave! e Contorsions – ascoltate il mitico “Buy” e ditemi se sbaglio – di attitudine punk e di funk-y deviato alla Pop Group.
I fiati volteggiano a dismisura nel citare buona dose di AACM, con Art Ensemble Of Chicago in Safe in The Inner Core e Ornette Coleman in Stay There, ma comunque non dimenticando neanche a casa le proprie origini e riproponendo discorsi ferruginosi à la Derek Bailey con Afraid of Paper.
E’ praticamente assurdo decifrare in modo analitico il mood ‘proteiforme’ dei Bass Tone Trap, ma anche una vera fortuna, se si considera il fatto di trovarsi dinanzi un disco voluminoso, sciolto nel variare il suo umore ad ogni brano e di spiazzare, così, anche l’ascoltatore più avventuroso.
Sconsigliato agli amanti del jazz slavato e patinato, consigliato a chi oggi si strappa i capelli per Zu, Neo, Caboto, … e per i Bz BZ Ueu, di cui Montecalvo era degno protagonista.
*Abbiamo poco tempo fa gettato uno sguardo approfondito in merito alla Discus; e quindi se siete interessati troverete un articolo dettagliato sulle ultime fatiche della label all’interno dell’archivio articoli di Kathodik. Buona lettura!!!
Voto: 9
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Autore: mariacenci@alice.it