“Dire Fare Baciare” (Il Lavoro Editoriale, 1990) è l’esordio di Alessandra
Buschi, classe 1963, una delle tante penne giovani che ha partecipato al
progetto Under 25 curato da Pier Vittorio Tondelli, precisamente nel primo (e
migliore) volume (“Giovani Blues”, Transeuropa, 1986), ma che sicuramente, e
direi ingiustamente, ha avuto meno fortuna di tanti altri compagni d’avventura.
D.f.b. è una raccolta di otto racconti più o meno lunghi e capaci di affrontare
svariate cifre stilistiche, da una scrittura volutamente minimale e semplice,
lontana non solo da qualunque pretesa poetica ma anche dal voler ricalcare
fedelmente il linguaggio parlato, ad un’altra che non disdegna una certa dose di
sperimentazione: è questo ad esempio, il caso dell’ultimo, breve racconto,
“Journal”, storia di fantascienza ambientata in una non ben definita ma
inquietante società futura, della quale la Buschi rende al meglio gli aspetti di
asetticità e metodicità grazie all’uso di un linguaggio che non sfigurerebbe
nelle istruzioni per l’uso di un medicinale.
Quest’ultimo racconto è però fuorviante, dato che i restanti sette racconti
parlano prevalentemente di storie semplici, dei giorni nostri (o meglio di
inizio Novanta), “storie di vita ordinaria di provincia”, come riportato in
postfazione: ecco così l’inizio affidato a “Il Bini”, fresca, divertente, triste
e strampalata storia “d’amore” dagli equilibri mutevoli ambientata in una
indefinita località di mare toscana; “Ritorno a Villa Nora”, evoluzione di un
rapporto amicizia/odio dalle tinte fosche sull’asse Toscana Parigi; “L’uomo
biscotto”, malinconico racconto epistolare sullo spettro dell’eroina che si
mangia tutto, o ancora “Tutte le lettere dell’alfabeto”, pensieri e avventure di
una quindicenne amorale che scopre le delizie del sesso senza farsi problemi di
alcun tipo se non quello di collezionare ragazzi dalle iniziali differenti, così
da completare tutto l’alfabeto.
Rimangono più sfuggenti e meno immediati “Ritratti”, “Settembre Mezzanotte”, e
soprattutto “Dialoghi da farsi baciandosi”, malinconici e poetici (nell’effetto
più che nello stile) bozzetti che spiano le crepe dell’amore, a volte già
frantumato altre all’apparenza solido, ma pronto a consumarsi sotto i colpi del
tempo e delle intemperie.
Oltre a questa varietà di temi e stili (che qua e là rendono la raccolta, a dire
il vero, poco coesa) è da notare l’uso abbondante di sigle e iniziali al posto
dei nomi veri e propri, come a indicare la prescindibilità di questi: tutto può
capitare ovunque e a chiunque, una sorta di rivendicazione dell’importanza della
provincia italiana in generale, vero centro motore della cultura italiana, e non
di questo o quel dato luogo particolare.
Bravissima scrittrice Alessandra Buschi, non solo per questo “Dire Fare
Baciare”, ma anche per la successiva raccolta del 1999 intitolata “Se Fossi
Vera”. Da riscoprire assolutamente.