Tara Jane O’Neil ‘In Circles’


(Quarterstick/Wide 2006)

L’americana Tara Jane O’Neal, nata a Louisville, esordì ventenne nel 1992 suonando il basso negli storici Rodan, formazione-cult dal sound art-punk influenzato dell’allora neonato post-rock degli Slint. Prima dello scioglimento, il gruppo fece a tempo a produrre un LP, quel “Rusty” (Quarterstick, 1994) che è da considerarsi uno dei dischi più significativi (e misconosciuti) del rock anni ’90. Dalle ceneri del gruppo si dipanarono le radici di diversi progetti musicali, tra i quali spiccano i Sonora Pine, composti oltre che dalla songwriter di Louisville (qui impegnata alla chitarra e al canto) anche dall’altro ex-Rodan, il batterista Kevin Coultas. L’ensemble, prima di porre fine alla sua avventura nel 1997, realizzò due dischi omonimi, le cui atmosfere sognanti erano influenzate ancora dagli Slint. La O’Neil in questo periodo figurava anche tra i componenti dei Ratsins, band nata dall’incontro con la chitarrista dei Ruby Falls, Cynthia Nelson. Dei cinque LP realizzati dalla line-up, il secondo, “Egg Fusion” (Simple Machines, 1996) era una collezione di ballad folk arrangiate in modo spartano, di cui l’esordio solista della O’Neil, “Peregrine” (Quartersticks, 2000), rappresentava la naturale prosecuzione. Dopo altri quattro capitoli in solitaria ed alcune collaborazioni, la polistrumentista di Louisville è ritornata sulle scene con questo “In Circles”, uno dei vertici della sua produzione.
Punto di incontro tra il raffinato intimismo di Joni Mitchell, la malinconia sognante di Nick Drake e le sperimentazioni post ed indie, la musica della O’Neil si nutre di delicati arpeggi chitarristici di matrice psichedelica, atmosfere eteree, manipolazioni elettroniche e gorgheggi angelici. La sua arte può apparire a prima vista semplice, ma è un inganno: le strutture dei brani sono sfuggenti, aperte e un ascolto attento rivela una complessità degna dei grandi songwriter del passato (Tim Buckley, per esempio).
L’overture strumentale di Primer innesta sulle pulsazioni ipnotiche della drum melodica di Kristina Davies un fraseggio psichedelico di chitarra elettrica. La successiva A Partridge Song è un terzinato di stampo folk di gran classe. Sui 3 minuti e 30 della meravigliosa The Louder aleggia il fantasma di Nick Drake, mentre un tintinnio insensato di chitarra psichedelica introduce A Sparrow Song, una ballata dal sapore autunnale, nobilitata dalla vocalità eterea della O’Neil e dal flauto di Cynthia Nelson. E’ un brano in cui gli umori di Nick Drake, Joni Mitchell e Tim Buckley si fondono alla perfezione e che fa da preludio a A Room For These, ipnotica e celestiale eppure capace di rivelare in alcuni suoi passaggi squarci di una profonda malinconia. In Blue Light room la pedal steel di Lewy Longmeyer della Michael Hurley Band ci fa assaporare l’aria di Nashville; Need No Pony, invece, denuncia ulteriormente l’autore di Pink Moon come uno dei numi tutelari dell’operazione. Chiudono il disco all’insegna della sperimentazione la meravigliosa The Looking Box, dagli accenti vagamente radioheadiani e il cupo strumentale This Beats.
Delicate, intimiste, caratterizzate da un piglio decisamente malinconico e ottimamente arrangiate, le composizioni della O’Neil sono grani di un rosario sofferto, frammenti di un atto di contrizione intimo, litanie ipnotiche in cui luce ed ombra si mescolano senza soluzione di continuità. Registrato con l’ausilio del suo studio portatile in alcune case di legno vuote dalle parti di Portland, città nella quale risiede da qualche tempo, “In Circles” non è un cerebrale esercizio di stile, ma un’opera sincera, autentica, che nasce dal profondo e punta dritto al cuore. E fa centro.

Voto: 8

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