(Patterns in Static 2006)
Australiani e non esattamente prolifici (quello di cui ci accingiamo a parlare è solamente il loro secondo e. p. in poco meno di due anni), gli Aviator Lane sono un trio che nel Paese natale ha fatto parlare parecchio di sé fin dall’inizio, conquistando ben presto la stima di noti personaggi dell’underground australiano, tra i quali Marty Brown degli eccellenti Art Of Fighting, che ha curato la registrazione e il mixaggio dell’e. p. d’esordio, ‘Today, the hills are closed’, e di noti gruppi di tutto il mondo, guadagnandosi la possibilità di suonare dal vivo con, tra gli altri, Low, Okkervil River e The Willard Grant Conspiracy.
Segnalatisi in principio per la loro miscela di slowcore, folk, indiepop (con soffici ed intime atmosfere non lontane da certe produzioni targate Sarah Records) ed elettronica, con il loro nuovo e omonimo e.p. gli Aviator Lane pongono decisamente una maggiore enfasi su quest’ultima componente del loro sound.
Determinante in questo senso è la sostituzione della batteria, presente nell’e. p. d’esordio, con soffici beats sintetici.
Questi, lungi dal sottrarre consistenza alle composizioni, contribuiscono in modo determinante a mantenere intenso quel senso di raccoglimento già diffuso dal suono molto atmosferico delle tastiere, le quali, mantenendosi in equilibrio tra le ultime luci del giorno con i colori sgargianti del tramonto (Comfort is shifting, A new code e Sinking from the corners) e il buio della notte con tutte le sue incognite (The calm we left), si accompagnano senza imbarazzo al fragile suono di chitarre molto folk, avvolgendolo amorevolmente.
Un disco dal quale certamente non promanano serenità e spensieratezza e che, tuttavia, con la sua gentilezza e il suo calore, ci aiuta a non cadere in preda allo sconforto, a non cedere alla tentazione di pensare che quella di domani sia solamente un’altra giornata.
Voto: 8
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Autore: a.crestani@yahoo.com