Di Alfio Castorina
Non so se qualcuno si ricorda della label belga Carbon 7, di cui avevamo recensito giusto un paio di cd un bel po’ di tempo fa. In quell’occasione quello che emergeva, almeno giudicando dai due titoli in nostro possesso (gli Attica, gruppo rock classico alla Jeff Buckley e Balestracci, tra new age e progressive krauto) ma anche sbirciando tra i titoli in catalogo, era un notevole eclettismo e l’assenza di un genere o stile di riferimento, sostituito da tante macro categorie: jazz, new music, rock… Tutto sommato una cosa non comunissima in ambito indie e difficile valutare se si tratta di un pregio o di un difetto (anche da un punto di vista di mera riconoscibilità su un mercato sempre più di nicchia). A conferma di quest’attitudine abbiamo tra le mani questo DVD che vede la label sconfinare dal mero recinto musicale per abbracciare esperienze multimediali complete. La compagnia teatrale Nicole Mossoux/Patrick Bonté è attiva da più di venti anni con spettacoli che sono stati portati in giro un po’ ovunque, dalla Corea all’Australia passando per gran parte del territorio europeo. A dispetto però della lunga esperienza alle spalle, “Light!” è il primo lavoro a godere del privilegio di essere fissato per sempre su un supporto fisico, grazie anche al contributo del regista Patrick Lemy. Un lavoro molto particolare che unisce in maniera onirica danza, teatro e musica. A quest’ultima non è stato affatto riservato minor cura rispetto alla controparte visiva dell’opera e gode di una sua precisa dignità, essendo tra l’altro curata da Christian Genet, già membro del gruppo “rock in opposition” Univers Zero. Bene, partiamo proprio da questa, un’enorme vortice che inghiotte e rigurgita umori industrial-elettronici, cupissimi ed asfissianti, una cappa nera che avvolge tutto il palcoscenico e che lascia filtrare pochi sprazzi di luce. Dopo una parte iniziale caratterizzata da un malsano ronzio che sembra di stare dentro Eraserhead, si assiste ad un susseguirsi di situazioni quanto mai variegate: ambient d’oltretomba, Aphex Twin in vesti goth, distillato di Autechre, tribalismi digitali, beats che arrancano sottopelle. Buio, luce, e i loro figli le ombre gli ingredienti, che similmente alla musica, formano gran parte dell’aspetto propriamente visivo. Sul palco, in perfetta solitudine l’ottima Nicole Mossoux, un essere umano alle prese con incubi che sfuggono alla logica e al raziocinio, rappresentati ricorrendo a spettacolari giochi di luce che partoriscono ombre. Ombre che sembrano scaturire da dentro l’attrice, si attaccano voraci al corpo, tentano di inghiottirlo, di dominarlo, di frenarne i movimenti e sottometterlo come fossero dei grandi “puppet masters”. Ombre che ingigantiscono l’assurdità della paura e mutano in forme mostruose e non decifrabili, che spingono la psiche nei meandri della follia. Tuttavia in alcuni casi l’essere umano qui in scena sembra avere la meglio, riuscendo ad invertire i ruoli ed a plasmare a proprio piacimento e con stupore i compagni inalienabili del cammino della nostra esistenza. In alcune sequenze i giochi di luce si fanno più astratti, forgiano forme e visioni sfumate e sfocate, dicono di messaggi alieni impiantati direttamente sulla retina e forieri di nuove angosce. Altrove invece il corpo umano viene come ritagliato nel buio per generare nuove e sconosciute morfologie organiche e la loro progenie. Le note riportano “sembra facile, avrei potuto farlo anch’io se solo ci avessi pensato”, ma a dire il vero non è esattamente la prima cosa che mi è venuta in mente durante la visione.