(Wrong Records/Wide 2006)
Lo spirito scanzonato del punk-hardcore incontra l’energia del metal in questo “All Roads Lead To Ausfhart”, ultimo lavoro in studio dei No Means No, storica (e misconosciuta) formazione canadese attiva da ormai un trentennio, che nel corso della sua carriera ha proposto un rock sperimentale dalle forti influenze zappiane.
In questo nuovo capitolo della loro discografia, che segue di ben sei anni l’ultimo lavoro di inediti (“No One”, prodotto sempre per la Wrong), i fratelli Rob (basso, chitarra e voce) e John Wright (voce, batteria e tastiere), nucleo storico della band, trovano un giusto equilibrio tra sperimentazione e “leggerezza”: il trash forsennato di Wake Up, l’hardcore fracassone di Mr. In Between, il ritornello demenziale di So Low, il nichilismo parossistico di Mondo Nihilissimo 2000 (che sembra un incrocio tra i Red Hot Chili Peppers e Johnny Cash in chiave punk) e l’anthem vibrante di Slugs Are Burning sembrano dimostrarlo.
Il culmine delle tensioni sperimentali del disco sono gli oltre sei minuti e mezzo di Mansion In The Sky, un prog-metal con venature trash propulso da un batterismo furente e sfregiato dalle rasoiate sinistre delle chitarre (tra le quali anche la slide di Bill Johnston); il ritornello cantanto in un registro solenne ed i cambi di tempo “di alleggerimento” fanno pensare ai System Of A Down. Ashes incrocia il funk-metal dei Red Hot con la brutalità dei Mothoread di Lemmy Kilminster. In Her Eyes è invece un hardcore saltellante che parte benissimo, ma poi si affloscia su un ritornello eccessivamente pomposo; Runaway è potente ed epica, ma solo questo. Heaven Is The Dust Beneath My Shoes procede a rotta di collo ed è impreziosita da una strofa in cui il parlato si innesta su un dialogo schizofrenico di batteria e chitarra; nonostante ciò, però, sei minuti così sono difficili da mandar giù senza sbadigliare.
Il metalcore disarticolato di The Hawk Killed The Punk (uno dei capolavori dell’opera) vanta persino spunti sixties, mentre I’m Dreaming And I Can’t Wake Up incrocia un febbrile trash metal coi deliri da eroinomane in gabbia del giovane Nick Cave; ‘Til I Die è praticamente country-hardcore. Una surreale ghost track dà l’arrivederci (si spera) all’ascoltatore.
Che dire? Un lavoro sicuramente non fondamentale, ma indubbiamente divertente e divertito, ricco di inventiva, sincero, capace tanto di incursioni sonore brutali quanto di puro e semplice “fun”. Da ascoltare e riascoltare quando il morale è a terra.
Voto: 7
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