(Delta Italiana/ CNI 2006)
Esiste un mondo in cui Mark Lanegan, Red House Painters, Radiohead, U2, Cure e il post-rock si incontrano, e questo mondo è la musica di Blessed Child Opera, creatura di Paolo Messere, songwriter dal talento cristallino e dalla voce lamentosa, già attivo come cantante, chitarrista e tastierista in band come i Silken Barb e gli Ulan Bator. Questo “Happy Ark” segue di due anni l’ottimo “Looking After The Child” e conferma lo stato di grazia della line up.
Impossibile definire concretamente il sound dei Blessed Child Opera: la sua ricchezza è tale da non consentire classificazioni di sorta. In “Happy Ark” si passa con disinvoltura dai riff grunge di Words And Kicks, un riuscitissimo ibrido di Muse e Radiohead, al post-folk à la Red House Painters di The Chain, senza disdegnare il ricorso all’elettronica (It Strucks Me) o a venature jazz (la tromba di Alessandro Modesti in Humiliating Whine). It’s Possibile Something è invece una ballad che sarebbe potuta stare sull’ultimo degli U2, mentre in Minor Company, nell’incedere e nel canto di Messere, richiama alla memoria Stan Ridgway (qualcuno se lo ricorda ancora?).
Lontano mille miglia dalle noiose elucubrazioni di certo indie rock nostrano, i Blessed Child Opera hanno confezionato un disco dal sapore e dalla caratura internazionale, in cui la sperimentazione va di pari passo con una certa attenzione al lato più melodico della scrittura musicale. Un lavoro che suona moderno ma non modaiolo, raffinato ma non noioso, ben rifinito ma non cervellotico. Solo il tempo ci dirà se “Happy Ark” è in grado di resistere alle insidie del trascorrere degli anni, sempre impietosamente crudele quando si parla di arte: nel frattempo gustiamocelo con cura, come si fa con un buon vino. Non ce ne pentiremo.
Voto: 8
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