(Autoproduzione
2006)
In questo preciso momento più
che mai, dire Napoli significa parlare di cronaca nera e assistere al
diluvio di lacrime di coccodrillo e retorica low cost da parte
dei nostri simpatici rappresentanti politici. Ma il mondo per fortuna
non sempre è solo quello che banalmente appare in superficie
con le sue meraviglie e storture, diversi sono i luoghi fisici e non,
in cui la realtà, o qualcosa che c’assomiglia si manifesta.
Lontano dai tristi fatti dell’attualità, questo progetto ad
opera di Fabio Orsi, laptop e field recordings, e Salvatore Borrelli,
stessa attrezzatura del socio con aggiunta di chitarra, è
ambientata nelle viscere della Napoli sotterranea, giacché
come riportano le note di copertina “tumefatta da 4 metri
d’immondizia sotto 40 metri di vuoto napoli sotterranea vive”.
Incipit in qualche modo inquietante, che sa di magico, come magici
sembrano i segni numerici che accompagnano il cd: tiratura carbonara
di 66 copie e una sola traccia della durata di 16 minuti e 16
secondi. Sembra uno dei soliti giochini di David Tibet. Da un
punto di vista sonoro convivono l’elettronica psicotropa di stampo
nazionale, i nomi di Logoplasm, Kar e compagnia con le
imbrigliature documentaristiche del suono di un Eric La Casa.
Suono che cresce e si espande come un’invocazione mistica nel buio e
che mi fa immaginare i due protagonisti completamente assorti
nell’umido del sottosuolo, le figure rischiarate da una tenue luce
giallastra e un’atmosfera sacralmente sospesa e rarefatta, dove anche
un semplice gesto non ben calibrato può provocare un Astral
Disaster. Un lungo
scavare a bassa frequenza, di quelli che stringono le viscere come
una dannata colite apre la cerimonia, per poi materializzare forme
oscure che sembrano esalare dal profondo. Ma il bello arriva più
tardi, dopo che il vociare disordinato ed irrispettoso di avventurosi
turisti spezza con la delicatezza di un Elefante quanto era stato
creato. A questo punto il suono si fa più luminoso, rilascia
endorfine che scaldano i neuroni e beato va verso l’incontro con un
chitarra, apparsa quasi per caso. Poche note, pizzicate con
insistenza e con lo stesso abbandono lisergico di altri corteggiatori
delle forze nascoste della natura e dei luoghi quali Thuja.
Viaggio interiore, breve ma affascinante.
Voto: 7
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