Ornette Coleman

Bologna, conferenza al Foyer Rossini del Teatro Comunale + Proiezione documentario
al cinema Lumière + Concerto al teatro Manzoni, 5-6 ottobre 2006.

 

 

 

 

Di Paolo Rossi

ruller@tiscali.it

Avevo già visto Ornette Coleman in concerto, esattamente nel luglio 2003 in quel di Perugia. Non c’avevo capito un cazzo. Invece oggi, a ventuno anni suonati, sono sicuro solo di due cose: a meno che non resuscitino Hendrix e Coltrane, musicalmente parlando non vivrò mai più esperienze così totalizzanti e pressoché trascendenti come salire sul palco degli Stooges e avere un sovraccarico di dopamina di fronte ai fraseggi di Ornette. Un passo indietro; Bologna, nelle date del 5 e 6 ottobre, ha ospitato lo storico sassofonista statunitense (classe 1930) per tre eventi eccezionali: un faccia a faccia col pubblico, la proiezione di un film-documentario (diretto da Shirley Clark) e la riproposizione di “Skies of America” (1971) , una composizione per quartetto e orchestra sinfonica. Non vi starò ad annoiare col resoconto dei battiti di ciglia di Ornette o di quanti cinefili fossero presenti in sala di proiezione, vi basterà sapere la prima frase da lui pronunciata alla conferenza: -Buonasera e scusatemi se appaio assonnato ma sono stato in piedi sino alle sei del mattino… Perché mi chiedete? Beh… perché ogni giorno cerco di creare un suono che non ho mai ascoltato… – . Per il resto, che dire dell’esibizione al Teatro Manzoni (stracolmo di seguaci)? Un’ora e venti minuti scarsi (ahimé), alle peripezie dei fiati e degli archi si alternavano le rappresaglie del maestoso quartetto (il figlio Denardo alla batteria, Tony Falanga al contrabbasso e Al McDowell al basso elettrico). Il nòcciolo della questione, in parole povere, è il seguente (almeno per me): si esce da teatro cambiati, illuminati, per sempre. E’ un pò arduo a spiegarsi ma tra i termini che si rincorrono nella scatola cranica, due paiono distinguersi dalla massa lessicale: profeta e rivelazione. Ornette Coleman ormai si esibisce sì per se stesso, ma a mio vedere soprattutto per l’Altro. E’ in possesso di un’abilità di renderci note le sue emozioni (e quelle che spera noi abbiamo in comune con lui) che altro non è che un dono, cercato faticosamente e infine acquisito. Il sassofono tenore non sputa melodie e, nel complesso, armonia, ma musica pura e cruda nella sua forma più sfacciata ed appagante. Siamo a livelli di intenderla (la Musica) in maniera schopenhaueriana e di offrirla come scialuppa di salvataggio al prossimo, con un unico fine: amore ed empatìa. Per Coleman (e per noi spero) questa passione tramutatasi in via da seguire sfocia in lidi extra-sensoriali e temporali. Con ancora nelle orecchie la malinconia dilaniante del bis, la classicissima Lonely Woman , me ne tornavo a casa conscio di aver oltrepassato un punto di non ritorno e mi sentivo come quando riesci a strappare un appuntamento alla donna dei tuoi sogni… Ho reso l’idea ?

Voto: 10