(Light In The Attic Records/Wide 2006)
“La mia cantante preferita […] era Karen Dalton. Karen aveva una voce come quella di Billie Holiday e suonava la chitarra come Jimmy Reed […]”. A parlare non è uno qualunque degli scribacchini che riempiono le colonne delle riviste di musica o le webzine con le loro elucubrazioni spesso maldestre, ma uno dei maggiori musicisti di tutti i tempi, “Sua Maestà” Bob Dylan. E se persino uno come lui si scomoda per incensare qualcuno, be’ allora qualcosa di buono, in questo qualcuno, deve pur esserci.
Al di là di queste considerazioni, che lasciano il tempo che trovano, l’uscita di “In My Own Time”, secondo capitolo della discografia di Karen Dalton, è davvero un momento significativo, perché porta alla luce un talento prezioso ed eclettico. Registrata a cavallo tra il 1970 e il 1971 e ristampata solo ora dalla Light In The Attic Records, questa raccolta di cover rivela infatti le capacità della misconosciuta cantante/chitarrista dell’ Oklahoma, capace di spaziare dallo swing di How Sweet It Is (firmata dalla premiata ditta Dozier-Holland) alla psichedelia del traditional Same Old Man, passando per il blues di In My Own Dream (Paul Butterfield), il soul di una ballad-perla come In A Station (con tanto di organo hammond), scritta da Richard Manuel, e le suggestioni appalachiane del traditional Katie Cruel, qui riproposto in una versione scarna ed ammaliante al tempo stesso.
Sugli arrangiamenti, efficaci e sempre ben ponderati, svetta la vocalità intensa della Dalton, il cui registro dolente richiama alla memoria la grande Billie Holiday. Un disco, insomma, come se ne facevano una volta, essenziale ma intenso, curato ma non leccato, malinconico ma non noioso, dolce ma non stucchevole. Peccato che la carriera della nostra sia terminata con questo LP: chissà di quali meraviglie avrebbero goduto ancora le nostre orecchie…
Voto: 7
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