Tre Titoli Per Quattro Orecchie
Di Alfio Castorina
Tre titoli per quattro orecchie:
- Okura, Müller, Yoshida ‘Tanker’
- Möslang, Müller ‘Wild Suzuki’
- Möslang, ‘Burst Log’
(For 4 Ears 2006)
Con una costanza e una frenesia simile all’Etna di questi giorni, che non sembra conoscere sosta alcuna, il mondo dell’elettroacustica impro continua ad immettere a getto continuo uscite sul suo (micro) mercato. Mercato ormai sommerso da decine e decine di etichette e dischi che sembrano aver proposto tutti gli incontri/scontri possibili tra musicisti, probabili ed improbabili, tra suoni reali ed immaginari. Quanto durerà tutto questo? Quando si arriverà al punto di dover raschiare il fondo del barile? O si tratta solo di ipotesi pessimistiche? Del resto non sono morti da una vita anche il jazz e il rock? Domande alle quali non saprei rispondere, che in tempi recenti hanno alimentato vivaci discussioni in rete su appositi siti specializzati (esplicativo e divertente il titolo di un thread circolato su Internet, “Has eai already gone the way like Macarena did?”). Per adesso comunque chi vuole, e il sottoscritto tra questi, continua a godersela. In mezzo a questa intricata selva di uscite, l’etichetta del percussionista svizzero Günter Müller rappresenta una quasi certezza e si distingue per la sua spiccata personalità. Un feeling gelido e quasi inumano, prevalentemente figlio di un elettronica malata e terminale, che sembra vivere a prescindere da chi sta dietro alle macchine. Questo almeno è quanto mi appare ogni volta che ho tra le mani un disco della label elvetica. Senza contare il tocco di Müller, che con il suo armamentario a base di iPod ed elettronica varia assecondata ai suoi voleri, ha un suono che pur essendo molto adattabile alle varie circostanze è (quasi) immediatamente riconoscibile, con quelle superfici plastiche e magmatiche in moto perpetuo, screziate da continue fratture e ricomposizioni.
Bene, parliamo allora di questi tre nuovi CD della FFE partendo da quello che da subito stimola la mia curiosità. Copertina che ritrae lande apparentemente desolate, ma stranamente segnate da dune disposte seconda una qualche logica geometrica da quelle che potrebbero essere forme di vita aliene, forniscono il supporto grafico a “Tanker“, che vede all’opera la vocalist Ami Yoshida, Masahiko Okura al sax e l’immancabile Müller, che ritroveremo anche dopo. Ho cercato di trovare un link con gli alieni non a caso, perché creatura aliena mi è sembrata Ami Yoshida ai tempi del mio primo incontro con i suoi vocalizzi in occasione del magnifico disco in coppia con Sachiko M, ovvero il duo Cosmos. Forse lo stupore di quel disco è andato perduto per sempre, ma la presenza della piccola giapponese suscita sembra curiosità: una voce che ha perso ogni capacità di comunicare, assorbita dalla tecnologia, ai cui circuiti si è fusa e con i quali si confonde. Il tentativo disperato di un umanità in via di estinzione di lasciare messaggi, in un epoca in cui ogni messaggio è morto da tempo. Puro respiro, singhiozzo, sbuffo, risucchio, mutato in codice informatico ed eseguito con disciplina ferrea e controllatissima (dal vivo la Yoshida sembra quasi in trance, ed è puro spettacolo). Tutto molto affascinante, anche se la tavolozza di colori in mano ad Ami non ha certo una palette particolarmente estesa e i risultati possono a tratti risultare un po’ esilaranti. L’iniziale, lunghissima Shibuya, unica traccia ad essere frutto di una reale improvvisazione live tra i tre, mentre il resto è stato assemblato per via di scambi e-mail, inizia con fare minaccioso. Una marea di rumblings tremolanti su cui si incrociano i lunghi respiri circolari di Okura e i vocalizzi soffocati sul nascere di Yoshida, preludio ad un ritmo che lentamente inizia a montare e diventa un’aritmia cardiaca che rimbomba nel cervello. Dopo tutto si fa ancora più instabile e angosciante, un continuo balletto di tremori e scosse su qui Ami staglia il suo urlo muto, prima che tutto si fermi lentamente tra sbuffi e stridori come un treno in frenata. Meno epiche ma comunque intense anche le tracce rimanenti, specie nel cupo bombardamento di Kitashinagawa-Lupsingen 2 con i suoi stop and go psicologici ed impreziosita da una performance strepitosa della Yoshida (che in parte mi fa ricredere su quanto detto prima), ora in simbiosi con il sax di Okara, ora velenoso ed impalpabile alitare. Ma non è ancora finita perché il commiato avviene con la spettrale fissità di Kitashinagawa-Lupsingen 3, dove l’agonia vocale di Ami raggiunge picchi francamente preoccupanti. Intenso e post-umano.
Ancora echi d’oriente in “Wild_Suzuki“, realizzato usando il materiale del tour giapponese del 2004, dall’ex Voice Crack Möslang e da Müller, dove i titoli dei brani sono dedicate alle varie locations delle performances. Questo è una sorta di disco “”””pop”””” per la F4E, con brani molto brevi e vari che catturano subito l’attenzione grazie alla loro immediatezza e alla forte disomogeneità nel passare dall’uno altro. Temi costanti: ritmi sottopelle e iterazioni sature di glitches e crackling, stanche danze techno per automi condotti al macero, che ottengono uno dei risultati migliori nella corsa mozzafiato di Fukoka_1: sinewaves che aspirano l’aria, sferzate di rumore che annullano la percezione, tagli, puntellamenti e un ritmo trip-hop frenetico che sembra ingrandirsi e rimpicciolirsi di continuo. Videogiochi dalle interfacce incomprensibili invece in Nagoya, con bleeps gocciolanti e beats che finiscono per essere assorbiti in un buco nero, e che sfuma come un calcolatore a cui si stacca la corrente, gli ultimi segnali ancora in elaborazione mentre gli elettroni defluiscono dalla circuiteria.
Concludiamo il trittico con il lavoro in solo di Möslang, che rielabora, pesantemente stando alle note, dato che non conosco il materiale, le prime tre tracce del CD “Lat_NC“ (sempre su F4E). Strano comunque che alla fine i pezzi qui contenuti siano sei e non tre. Anche questo come “Wild_Suzuki” è un lavoro fortemente ritmico, ma con un suono molto più aggressivo e frontale e dal forte feeling industrial con venature cyber-dance. La prima traccia BL_1 è un piccolo shock per le mie povere casse. Ho dimenticato di regolare il volume e vengo investito da fortissime scariche di rumore bianco, che disegnano un ritmo regolare e marziale con l’impatto terrificante di un elettrostimolazione cardiaca a cui si aggiungono delle voci (?), versi (?) che sembrano degli uccelli pronti a schiantarsi al suolo come dei kamikaze. Stesse bordate acustiche anche in quanto segue, perché l’inizio in stile ambient di BL_2 dura solo un attimo, prima di lasciare spazio a suoni che si disintegrano nell’aria come fuochi d’artificio e ad un ritmo infernale che potrebbe far felice qualche cervello devastato dall’ecstasy. Leggermente meno violente le pulsazioni in bassa frequenza di LC_4, mentre LC_5 propone ancora tempeste a base di cracked everyday electronics. Non le mie musiche preferite, troppo rudi e muscolari, ma rimane comunque lo stupore per questa magistrale capacità di plasmare e domare il suono.
Dovendo dare dei voti, direi 8 per il viaggio nell’inconscio di “Tanker“, 7 per il fresco appeal di “Wild_Suzuki“ e 6 per lo sconquasso di “Burst_Log“.