(Discus records 2006)
Martin Archer, come abbiamo raccontato da tempo sulle pagine di Kathodik, incide materiale sperimentale e/o improvvisativo mediante la (sua) Discus, da circa vent’anni. Il segno distintivo di questo gentleman dell’avant si è sempre accompagnato ad una intrinseca brama di sperimentare, con un impiego ‘dilatato’ degli strumenti e con un’alterazione di stili e generi, a 360° gradi.
Questa over-dose di materia Archeriana, o proveniente dalla cittadina di Sheffield in genere, ha non poco saturato i timpani del sottoscritto provocando una lieve sensazione, prossima alla nausea, quando ha dovuto fare i conti anche con l’ultima uscita di catalogo – fresca di zecca – intitolata “The Inclusion Principle”.
Per fortuna che i fatti non siano proseguiti secondo i (pregiudiziali) concetti, sviluppati in partenza, perché in questo duo, che vede la prima volta interagire Mr Archer e Hervé Perez, si annidano non pochi momenti di brillante elettro-acustica moderna. Un’unica incisione, divisa in quattro parti differenti nel sapore, formulata integralmente in tempo reale in studio che accorpa nel proprio cuore scampoli di suono procreati dal connubio di field recordings naturali e laptop (per quanto concerne Perez) con la bizzarra figura del violectronics: oggetto decisamente peculiare, fuoriuscito dall’estro di Archer, che lega indissolubilmente i suoni (acustici) originari del violino alle contemporanee manipolazioni elettro-noise generate dagli appositi software…
Proprio in merito a tale ‘arnese’, lo stesso Martin ha scritto rilevanti annotazioni – ‘… Playing a violin and manipulating a mouse at the same time is an interesting physical process…’ – che consegnano l’ascoltatore in campi di pura sperimentazione fisica. Si scopre che il titolo della stessa composizione trae spunto da un preciso studio firmato da un noto fisico svizzero del primo ‘900, Wolfang Pauli, il quale guadagnò le glorie del premio nobel per la ricerca volta alla meccanica quantistica e al ‘Principio di Esclusione’.
Il materiale audio/campionato da Perez, invece, proviene principalmente da suoni di madre natura come legno, fuoco, metallo, acqua, roccia, vento e dai loro ‘equivalenti’ strumentali che corrispondono a percussioni di legno, meditation bowls, wind instruments…
Scivolano tra le mani striature di laborioso micro-noise e sprazzi di ambient-drone, cadono sul corpo gocce di metalli e ferri vari corrosi e violati nella propria intimità dallo scontro con altri ‘objects’ non-identificati; giochini a base di elettronica mordace che diventa d’un colpo materia organica piacevole e tonificante; loop, sottili scaglie di minimalismo, rumore che si scrosta di dosso ogni appiglio melodico per divenire pura frequenza noise al confine con la frontiera dell’inudibile…
Qualunque perbenista si aspetti di udire, anche solo per un minuto, prove di virtuosismo (casomai attraverso il violino) e strutture schematiche ‘sicure’, come al solito si troverà fuori strada, lontano mille miglia da ogni ragionevole (e inutile) certezza: prima nemica di simili artisti concentrati sulla creazione di musiche astratte e magicamente irrazionali.
Voto: 7
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