Di Roberto Pazzi
JIM THOMPSON
L’assassino che è in me
Fanucci 2005 – pag. 233 € 13,00
Ho una scarsa considerazione di quelle persone che per lavoro sono costrette a scrivere le quarte di copertina dei libri. Ma ne ho una peggiore per i critici letterari americani.
Prendete ad esempio quello che è riportato qui:
No comment.
Veniamo al libro che è meglio.
Non sono un amante appassionato di Jim Thompson e del suo stile noir allucinato. Gli preferisco il misconosciuto David Goodies o il pluridecorato Chandler.
Devo però riconoscere che ogni volta che mi avvicino ad un suo libro entro subito nella storia e me ne sento inconsciamente attratto.
Prendete questo “L’assassino che è in me”.
Pubblicato nel 1952 direttamente in economica, parla di un anonimo vice-sceriffo di un paesino del Texas, che in teoria ha l’unico difetto di essere un po’ noioso (oggi sarebbe in gran compagnia!). Tutto normale se non ci fosse un problemino: Lou Ford – così si chiama il povero cristo ed io narrante – è uno psicopatico che soffre di un male oscuro che ogni tanto ritorna in superficie. Ma la gente non lo sa, perché ormai è passato tanto tempo da quella volta con la povera bambina ed in fondo tutta la colpa è ricaduta sul suo fratellastro, quindi Lou è apposto. Per ora. Ma il male torna in superficie quando meno te l’aspetti.
Pagina dopo pagina, lentamente ed inesorabilmente, si entra nella mente del personaggio e si è portati quasi ad identificarsi con le sue gesta senza senso apparente (ma per lui ce l’hanno eccome), con i suoi momenti di lucida e catartica follia.
Jim Thompson è un autore che andrebbe apprezzato – dentro e fuori la storia del genere noir e dintorni – per i tre motivi che Goffredo Fofi indica nella post-fazione:
< a) ha saputo prima di tanti altri capire come dietro il sogno americano ci fosse una latente e criminale follia, che i suoi personaggi esplicitano senza ambasce (…)
b) ha raccontato in prima persona la follia e il non-senso dei puri malvagi, dei criminali senza remore e luce, predecessori dei serial killer dei nostri tempi (…)
c) ha esercitato il suo mestiere di scrittore di genere con una intima libertà di costruttore-distruttore di meccanismi narrativi, che aderiscono spesso alla distorta logica dell’io narrante.>
Ogni altro commento sarebbe superfluo.