(Cuneiform Records 2006)
Pinhas suona da 30 anni. Qualcuno che ascolta la storia se n’è accorto. I suoi Heldon in Francia erano un po’ i Tangerine Dream di turno. La sua influenza l’hanno ripescata – come al solito – i sampleristi degli anni 90, razza di ascoltatori eclettici e senza scrupoli. Le coordinate campionate dalle sue cavalcate chitarristiche puntano i lavori degli UNKLE, il mitico bassista in overload di informazione Bill Laswell e addirittura l’ultimo Dj Kicks dei coolissimi Four Tet.
Il nuovo lunghissimo doppio disco (più di due ore) che esce su Cuneiform è pieno di tracce lunghe, progressive, muri di suono che collidono, un po’ come quei mai superati My Bloody Valentine, mescolati con le sonorità post-tutto della Constellation. Il tutto personalizzato e con un indescrivibile tocco francese: freschezza e classe che distinguono il maestro dagli epigoni. La progressività degli anni 70 ritorna in gran forma e il disco sembra appena uscito da un corso di Deleuze (Pinhas è stato infatti suo allievo): l’estetica basata sul loop che si avvolge e che sembra non finire mai, infarcito di chitarre in eco, di elettronica, di minimoog e di synth vari, una formula che non si compromette, un muro sonoro che sta in piedi da solo.
Un minimalismo alle volte un po’ pesante per le nostre orecchie abituate ai 3 minuti del pop. Mantra dagli anni krauti, due ore di viaggio per pochi adepti. Da lasciare scorrere, senza troppi patemi. Un viaggio massimalista, colonna sonora per i libri dell’eremita Pynchon.
Etichetta:
www.cuneiformrecords.com
Voto: 6
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Autore: taffey6977@gmail.com