Di Marco Loprete
L’aspetto più deprimente di questo bellissimo ‘Musica Unica’ di Thomas Clement è che, pur essendo ambientato nella Parigi del 2010 (un futuro non lontano, dunque, ma pur sempre un futuro), sembra essere in realtà una radiografia dell’attuale mercato discografico. Franck Matalo, cinico dirigente della filiale francese di Musica Unica, multinazionale discografica, unica (per l’appunto) superstite sul mercato grazie ad una spietata politica di acquisizione delle concorrenti e delle label indie e alla totale sconfitta del download pirata, potrebbe essere il ritratto perfetto di un qualsiasi discografico odierno: egli considera la musica ne più ne meno che un prodotto, e, stando così le cose, è interessato solo al profitto.
Nel mondo tratteggiato con sapienza dalla prosa chiara e semplice di Clement, la musica non esiste sostanzialmente più: i brani che compongono i dischi sono realizzati da sofisticatissimi software sulla base di oculate ricerche di mercato. Gli artisti sono fantocci che cantano ciò che gli viene imposto, burattini che muovono solo le labbra. “Creatività”, nel mondo di Musica Unica, è una parola priva di senso.
Però… però accade qualcosa. Un bel giorno, nell’ufficio di Matalo si presenta un ragazzetto, Nick. Il cinico discografico pensa si tratti di uno dei tanti giovani che ancora passano le loro giornate chiusi in qualche scantinato a suonare musica rock con gli amici (malgrado Musica Unica ce ne sono ancora, di questi “strani” esseri…). Solo che il demo che cestina dopo averlo ascoltato non è di Nick, ma della sua vecchia band, i Game Over, nella quale Matalo, adolescente, suonava la chitarra assieme al padre del ragazzo, vecchio amico d’infanzia. Il fatto provoca una sorta di reazione a catena: il disgusto che Franck prova per se stesso viene finalmente a galla (complice anche il ricordo della figlia …, morta alla tenera età di quattro anni) ed il nostro progetta di distruggere l’intero sistema, producendo la band peggiore del mondo, gli Intestino, dei quali ha scovato un vecchio demo nello scantinato dell’azienda.
Le cose, però, non filano lisce: sebbene siano un mucchio di giovinastri presuntuosi, sbandati, volgari, esibizionisti ed incompetenti a livello tecnico, e nonostante le scelte di marketing apparentemente suicide di Matalo, gli Intestino ottengono ugualmente successo. Anzi, di più: ogni loro provocazione oscena finisce con l’accrescerne la fama, al punto tale da oscurare la divetta del momento Loli-Zee. Frustrato dai continui fallimenti e tormentato dal passato, Franck si decide ad un’azione estrema: uccidere i componenti della band ormai miliardaria, spingendoli all’autodistruzione attraverso l’ incitamento all’assunzione di droghe potentissime.
Il paradosso, però, è che neppure il suicidio dei quattro musicisti durante l’ultima memorabile e delirante performance (davvero un grande esempio di grottesco letterario, questo), riesce ad annientare Musica Unica: la morte degli Intestino fa crescere esponenzialmente il download legale dei loro pezzi. Defunti, insomma, valgono ancora più che da vivi.
Ispirato dalla tesi marxiana della domanda che produce il consumo – e dunque all’idea secondo la quale tutto può essere venduto, perchè tutto potenzialmente ha un acquirente – Clement mette in scena una rappresentazione dell’industria discografica deprimente, che, come si diceva all’inizio, sembra essere non il risultato di un atto di preveggenza, ma il frutto di un’occhiata al presente: in questo senso, Musica Unica potrebbe tranquillamente porsi al di fuori del filone della fantascienza utopista alla Orwell (pur condividendone, indubbiamente, alcuni tratti).
La speranza è che la messinscena sia solo tale, che le cose non stiano così, che la creatività, l’originalità, la personalità contino ancora qualcosa al giorno d’oggi. Ma se invece fossimo già da un pezzo nell’era di Musica Unica?
Link: Editore Barbera