Di Marco Loprete
Il blues non è semplicemente un genere musicale: è “cronaca, atteggiamento ideologico, fenomeno di costume, mezzo di intrattenimento e fonte di meditazione”. O almeno così la pensa (ma ci sentiamo di sottoscriverlo in pieno) Edoardo Fassio, autore di “Blues”, volume edito dalla Laterza con la prefazione Massimo Carlotto, scrittore tra i più promettenti della scena letteraria italiana e grande amante della “musica del diavolo”.
Fassio ricostruisce un secolo ed oltre di storia del blues raccontandoci gioie e splendori di tutti (o quasi) i suoi protagonisti, figure molto spesso sconosciute al grande pubblico eppure meritevoli di stare accanto a nomi più noti come quelli di Robert Johnson, B. B. King, Muddy Waters, John Lee Hooker, Jimi Hendrix, Eric Clapton e così via. Con molta intelligenza, Fassio, pur essendo indubbiamente un esperto, evita il tono didascalico del maestrino o del critico blasonato: sceglie di raccontare la materia immergendovisi appieno, con uno stile semplice e curato al tempo stesso, da cui traspare tutto l’amore dell’Autore per quella che dapprima era soltanto la colonna sonora della vita dei neri e che poi ha finito col contagiare anche la popolazione bianca, mescolandosi al country e al pop e dando vita ad innumerevoli figliastri – tra cui, quasi inutile ricordarlo, il rock’n’roll.
Organizzando la narrazione – perchè di questo si tratta: di una narrazione – non tanto su una scansione cronologica quanto piuttosto intorno ad alcune aree tematiche (il blues urbano, Tin Pan Alley, il boogie-woogie, l’erotismo, il diavolo, il blues dei bianchi e così via), Fassio non tralascia neppure di gettare un occhio al presente. Egli sottolinea la vivacità della scena contemporanea, pullulante di artisti che presumibilmente non raggiungeranno mai le vette della classifica ma la cui musica mantiene ancora intatta tutta la disperata malinconia, la disillusione ed il dolore di certi vagabondi con la chitarra che nell’America di inizio secolo cantavano gioie e dolori della vita.