(Antifrost 2007)
“Pardon the way that I stare,
there’s nothing else to compare. The sight of you leaves me weak,
there are no words left to speak. But if you feel like I feel, please
let me know that it’s real. You are just too good to be true, can’t
take my eyes off you”. No, non mi sto concedendo un’improbabile
licenza poetica, ma ho solo ricostruito la “poesia” che si
ottiene mettendo assieme i titoli dei brani che compongono questo cd,
che cita la parola amore anche nella propria intestazione. Tuttavia
non penso proprio che si tratti di materiale utile a conquistare la
persona amata, anzi, e se realmente c’è qualche riferimento a
questioni sentimentali, viene realizzato in maniera poco ovvia. Ilios
è il moniker dietro il quale agisce Dimitri Kariofilis, tra
l’altro responsabile della label Antifrost, artista quantomai
enigmatico ed imperscrutabile, come questo disco, forte di un suo
linguaggio e di una sua estetica non facilmente inquadrabili, non
manca di evidenziare. C’è un po’ di Francisco Lopez,
con cui, guarda caso, Ilios spesso collabora, per via dell’utilizzo
di sonorità che si muovono con facilità tra gli estremi
del range dinamico, dal silenzio al rumore, e che appaiono sempre
sfuggenti, inafferrabili; tra stasi, calma apparente, movimenti
sotterranei e squarci repentini. Le note parlano anche dell’utilizzo
di field recordings, carpiti in varie località, quali
Lima, Londra e Santiago del Cile, ma, oddio, potrebbe trattarsi di
tutto e di più, difficile trovare tracce evidenti di suoni
ambientali, tranne verso la fine del cd. La parte iniziale, diciamo i
primi tre brani (in realtà il lavoro sembra un tutt’uno, anche
se gli scenari sono mutevoli), in cui appare anche il violoncello di
Nikos Veliotis, toglie
facilmente il fiato: movenze illusorie, impercettibili scivolamenti
sensoriali (gli istanti in cui si materializzano quelle note quasi
pianistiche…), sonorità sottili che sembrano tagliare in due
l’orizzonte dei nostri pensieri, interstizi scuri che sembrano non
avere mai fine. Magistrale. Dopo questa prima parte così
eterea, a mio avviso la migliore, seguono alcuni momenti più noisy, in cui si alternano
movimenti di particelle glitch, frequenze bassissime ai limiti della
riproducibilità audio, e veri e propri abbagli di rumore
bianco. Menzione particolare in tal senso per la terza traccia: un
mare mosso, ma tutto sommato rassicurante, risucchiato da improvvise
e dolorose scariche di rumore che svaniscono nel nulla. Parte finale,
come già accennato, quella in cui appaiono più visibili
gli echi dei field recordings; echi trasfigurati del mondo,
dispersi e lasciati fluttuare nell’aria ad accompagnare progressioni di sinewaves che ricordano certo Jason Kahn. Sembra un disco popolato di
spettri questo “Love Is My Motor”, presenze fantasmatiche
appena percepibili, che volano alto, sopra le cose, animate e non,
osservano da lontano, da distanze in cui tutto appare sfumato e
sfocato. Di tanto in tanto, scendono in picchiata, prendono di mira
un dettaglio, lo ingrandiscono ed esplorano in profondità,
scavano nella materia, e poi si allontanano di nuovo. Indefinibile,
malinconico, inquietante, irrazionale. Molto affascinante.
Voto: 7
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