(Lo Zio Records 2007)
I Captain Quentin, progetto originale sorto nel ’05, sono una specie di reincarnazione dei disciolti Malajerba, realtà musicale che ha varcato i dieci anni di solida attività. Lasso temporale utile e necessario a Michele Alessi (chitarra elettrica baritonale), Filippo Andreacchio (chitarra elettrica ‘pura’), Enzo Colarco (tasti), Massimo Carere (piatti e tamburi) e Libero Rodofili (addentratosi successivamente con sax e basso) per formulare e perfezionare sonorità delineate da un interesse ‘maniacale’ per il post rock Slint-iano – senza scordare June of 44 e Tortoise – e per le sfaccettate contorsioni (o contaminazioni) che tale forma ben si appresta ad eseguire. Mood irregolare, quindi, che si lascia adocchiare a partire dalla alchimia, tutta personale, che i componenti mettono in atto per scegliere il nome, un marchio d’identità deciso, da porgere alla band; una commistione di molecole che tira in ballo il genio erotico e sregolato di Captain Beefheart con la penna decadente dello scrittore William Faulkner, nel suo romanzo Quentin Compson.
Ed ecco, dunque, svelarsi alle orecchie l’arcano segreto di un simile bilanciamento, che trova il suo punto-forza nella scelta di sperimentare trame unicamente strumentali, dilatate nella lunghezza e frastagliate nel modo d’interloquire con l’esterno. Struttura in ascesa, sia in senso di emozioni, quanto in merito a durezza del suono, che apre le danze spalancando spensierate virtù armoniche e post-rock (La Bottiglia Viola). Paesaggi cristallini architettati con gentili fraseggi di chitarra reiterata, rotolano nelle mani di improvvisi deragliamenti improv-rock (la languida disinvoltura della title track e la spavalda stravaganza indie e para-lounge di Rullante per un Vicino). Lo spazio è saturo di relax, piacere auditivo che s’impone anche a colpi di sofisticato, quanto elegante, math rock o di altri linguaggi cosiddetti estremi: come nel caso di Discopost Inc. e nell’incastro minimal ipnotico di percussioni e chitarra, avviluppato con maestria al termine. Lo spettro del vecchio capitano blues si lascia toccare nell’andamento acidulo (ma anche molto sognante) di Le Occasioni son Macchine Rotte e nei stop ‘n’ go free jazz di My Untitled Umbrella.
Non c’è che dire, la formula adottata da questo combo gli consente di sondare terreni, alle volte già sciupati da una miriade di gruppi dell’intero pianeta, senza inciampare mai nella categoria del già sentito e nel monotono intarsio di, oramai, classico stampo post-rock.
Sito ufficiale:
www.captainquentin.it
Voto: 7
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