(l’innomable 2006)
Primo
incontro del sottoscritto con la musica di Sabine Ercklentz, qui al
suo debutto solista, ma non esattamente una principiante. Classe
1967, di stanza a Berlino, e collaboratrice su diversi progetti con
alcuni dei nomi di punta della scena locale, quali Andrea Neumann,
Annette Krebs e Christof Kurzmann. Attrezzi del
mestiere: tromba e computer. A parte la sorpresa, per il fatto poco
comune di vedere una donna cimentarsi alla tromba in ambito elettroacustico, e
a parte l’ovvia aspettativa (non disattesa) di trovarsi dinanzi ad un
disco di sbuffi, strozzamenti di fiato e via discorrendo,
musicalmente la Ercklentz sa il fatto suo. Potrebbe tranquillamente
accodarsi ai tanti nomi maggiormente noti, che dispensano materiali
simili, ma sceglie invece di dare un forte impostazione personale a
quanto proposto. Fondamentale in tal senso, l’uso creativo e
compositivo/strutturante del computer, che consente di moltiplicare la presenza
della tromba nello spazio. La tecnica è quella di una sorta di cut & paste delle
fonti sonore, per degli effetti quasi polifonici, ma il termine non
è del tutto adeguato, altrimenti impossibili. L’iniziale
Furchtegott
und Edeltraut,
dopo un fase di microframmenti d’aria che giocano a tira e molla,
rimbalzano da un canale all’altro, e ricordano un motore che non ne
vuole sapere di partire, inizia a stemperarsi e come a sgonfiarsi,
sfociando in una sorprendente struttura ritmica, semplice,
semplice nelle sue parti, ma complessa nei risultati L’effetto è
notevole, perché affatto scontato, ma soprattutto perchè
bello a sentirsi. Non dico che swinga,
ma poco ci manca.
Frammentata
e minacciata da disturbi che ne impediscono la completa messa a fuoco,
Zwischenntez, come una radio
che oscilla tra una frequenza e l’altra, su
cui però volteggia instabile una tromba normalizzata e molto
lirica. Ed è un altro piccolo tocco di classe. Aria,
traiettorie ronzanti, bruschi tagli, e spazi vuoti in Steinschlag.
A concludere l’insolitamente breve durata del cd, Mäusemilch,
che abbandona l’approccio mediamente fisico e dissonante di quanto
l’ha preceduto, per proporre un commiato di calma zen, fatto di
microsuoni quasi concreti. Come piccoli segni tracciati su
del pietrisco umido, che in parte ricordano l’output di Jeph Jerman.
Un esordio molto interessante.
Voto: 7
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