(Nemu Records 2007)
Bruce Eisenbeil ed il suo sestetto mettono in piedi
un’ottima scorribanda free, notturna ed anfetaminica; una possibile /
plausibile versione dei Carbon di Elliott Sharp
in versione più propriamente jazz.
Gli stili dei due
chitarristi si lambiscono spesso, si avvicinano, si toccano, si
ritraggono, Sharp infinitamente onnivoro (per
stile); Eisenbeil ben più di una promessa per il futuro.
La
struttura compositiva è un perfetto mix di rigore e caos, ad
eludere le secche dell’ordinario, ci pensa una coralità
esibita con baldanza che,
traghetta il risultato finale dalle parti di una metropolitana unione
fra lo Sharp sopra citato e la sregolatezza (preziosa)
di un Cecil Taylor o, a
scelta; di un Anthony Braxton.
I quarantasette minuti
dell’iniziale Inner Constellation sono
una prelibata leccornia dove il Sextet mostra un’ammirevole
equilibrio fra esibizione muscolare e sollecitazione neurale, i fiati
di Nate Wooley ed Aaron Ali Shaikh caracollano
caldi, la struttura ritmica che alterna umori afro ed
andatura sudamericana da grande festa (gli
ottimi Tom Abbs e Nasheet Waits, basso e batteria…),
il violino di Jean Cook a far da ponte fra Asia e Balcani, le
corde della chitarra sollecitate e strozzate con feroce grazia; un
continuo e torrenziale viaggio nei dintorni
dell’atonalità.
Ottimo!
Emana sensuale umidità,
pioggia metropolitana ed afa sudata.
Una scrittura al contempo
classica e sottilmente
dissonante, dentro ci trovi tanto Coltrane quanto Sun Ra,
il rigido concetto di Xenakis ed il classico
Ellington, buon segno; irradia calore.
Le conclusive Rain
In The Face, Cues To The Vagabond e Receding Storm,
sono toccanti istanti di varie tonalità di solitudine
combattiva.
Passeggiate al neon con un ricordo caro fisso nella
testa.
Tutto molto bello.
Caldamente consigliato.
Voto: 8
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