@Perugia, 12 luglio 2007
Di Paolo Rossi
Ad un anno esatto di distanza (stesso giorno, stessa location, la sempre accogliente cornice dell’Arena Santa Giuliana) dall’esibizione del compianto James Brown, le antiche mura di Perugia hanno accolto per una notte un altro dei padri fondatori della black music, Sly Stone, eccezionalmente in tour con la Family (o perlomeno ciò che ne è rimasto) per celebrare i trent’anni dalla pubblicazione del loro primo vero album di successo, “Stand!” , datato 1967. E’ doveroso fare una premessa: con grande sorpresa del pubblico (da lodare per le sue compostezza e magnanimità) Sylvester Stewart, questo il suo vero nome all’anagrafe, è riuscito a rimanere sul palco solamente per una manciata di minuti a causa di condizioni di salute non ottimali. Partiamo dall’inizio. Con la folla ancora sorridente e schiamazzante per la divertente e calorosa apertura affidata a Solomon Burke, Cynthia Robinson, trombettista da sempre al soldo di Sly faceva il suo ingresso in scena urlando a squarciagola -dance to the music!- con una verve che non pareva essere stata intaccata dai parecchi anni passati. Con Pat Ritzo e Freddie Stewart (gli unici membri storici presenti insieme alla sopracitata Robinson) rispettivamente al sax alto e alla chitarra, la band sembrava già dalle primissime battute in grado di scatenare groove irresistibili e martellanti anche se non riusciva a ricreare quell’alchimia che la rese una pietra miliare nello sviluppo della musica nera. I musicisti proseguivano con Everyday People e Stand! ma bisognava attendere altri due brani per l’ingresso in scena di uno dei personaggi più attesi di tutto l’Umbria Jazz. A questo punto lo stupore misto a preoccupazione era individuabile sul viso di ogni spettatore presente: Sly Stone, accompagnato sino alla sua postazione, mostrava una condizione fisica (impossibile non notare il pesante tutore che lo avvolgeva dal collo alla scapola destra e che ne limitava fortemente i movimenti) decisamente non buona, al punto di risentirne addirittura a livello vocale. Così il suo leggendario timbro rauco e seducente si è potuto distinguere per brevissimi istanti mentre tentava, non senza fatica, di premiare la pazienza del pubblico interpretando alcune delle sue composizioni più significative: Family Affair , Sing A Simple Song , If You Want Me To Stay e I Want To Take You Higher. Stremato, veniva lentamente condotto dietro le quinte, sostenuto dal caldo applauso dell’audience. La band terminava così l’esibizione con la riproposizione, fra le altre, di chicche come Don’t Call Me Nigger, Whitey, Thank You For Talking To Me Africa e Babies Makin’ Babies. Buona dunque la performance della Family ma l’amaro in bocca per la sfuggita occasione di assistere allo show di una vera icona del firmamento musicale sarà difficile da mandar via
Voto: 6
Linsk: http://www.jazzitalia.net