(Public Eyesore
2007)
Disco enigmatico ed indecifrabile, come i titoli delle
tracce, tutte costruite anagrammando la parola Ductworks, per
questo quintetto capitanato da Bryan Day, tra l’altro anche responsabile della
label licenziataria. Le note del cd non dicono assolutamente nulla
sulla strumentazione usata, anche se pare accertata la presenza di
percussioni, chitarre, e forse violoncello e sax. Poco importa, tanto
la musica é completamente votata alla completa dissoluzione di
qualsiasi forma di struttura esecutiva, e la stessa suddivisione in
tracce pare principalmente una comodità offerta
all’ascoltatore. Volendo dare delle coordinate di riferimento (non
affidabili), pensate a frammenti di AMM,
Dead C, ma anche No
Neck Blues Band, lasciati a
decomporsi immersi in qualche sostanza altamente corrosiva per
uscirne completamente straziati. Niente rumore folle, come forse fin
quanto scritto farebbe pensare, Shelf Life non sono terroristi
armati di decibel e/o ritmi forsennati, ma preferiscono distillare
con calma il loro surreale mantra fatto di rumorismi,
incartocciamenti, scivolamenti e crolli, tutto proposto con un ottica
obliqua e lunare. Più che musicisti, i membri del gruppo
sembrano degli artigiani folli, nascosti nell’oscurità del
retrobottega, assorti in un incessante lavorio finalizzato alla
costruzione di qualche manufatto incomprensibile. La musica è in costante movimento, ma sceglie di non andare da nessuna parte, non insegue nessuna direzione, non costruisce nessun climax, semplicemente esiste e tanto basta.. Per un po’ potete anche
smettere di prestarle attenzione, relegarla in background, quasi
fosse una sorta di ambient impro-dark-noisy, senza
comprometterne l’efficacia.
Devo dire che questo disco mi piace
molto, ha un suo fascino non trascurabile e una sua perversa originalità: si agita, si contorce, si lamenta,
rumoreggia, ma con discrezione. Come una bestia malevola che ti
osserva sbadigliando da dietro le sbarre della sua gabbia.
Voto: 7
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