Di Marco Loprete
Per chi conoscesse Howard Phillips Lovecraft (1890 – 1937) solo ed esclusivamente nelle vesti di grande prosatore dell’orrore, questo volumetto pubblicato dalla Barbera (e curato da Sebastiano Fusco) rappresenta un’occasione unica per entrare in contatto con un altro lato della produzione artistica del “solitario di Providence”: la poesia.
Eh già, perchè il nostro, analogamente ad un altro maestro del gotico, Edgar Allan Poe, s’è cimentato, nel corso della sua non troppo lunga carriera di autore, con la scrittura di sonetti e componimenti in versi di varia natura.
“Gli orrori di Yuggoth” è un esempio significativo di questa seconda faccia della sua arte. Nei trentasei componimenti che costituiscono la raccolta, infatti, possiamo rintracciare tutti i temi tipici della letteratura lovecraftiana: lo sbigottimento della mente razionale verso l’infinito, da cui si genera un senso di orrore cosmico, il simbolismo, i mondi onirici, le mostruose creature e gli spaventosi regni che costituiscono la sua cosmogonia. Alle poesie dedicate a questi temi (spesso veri e propri racconti in versi, con tanto di colpo di scena finale) si affiancano anche composizioni dal taglio marcatamente autobiografico, o riflessioni sul senso del bello.
Sicuramente Lovecraft era meglio come prosatore che non come poeta (di Poe, invece, si può dire che eccellesse in tutte e due i campi), ma questi sonetti sono comunque utili per comprendere meglio l’opera (e la personalità) di uno dei massimi geni della letteratura novecentesca.