(Autoproduzione 2007)
Si lo so. Parlare bene di un disco dei Radiohead sta diventando una sorta di sport internazionale. Il lettore di riviste specializzate e l’internauta intento a spulciare le pagine web dei vari portali musicali in cerca della recensione dell’ultima fatica della band di Thom Yorke potrebbe pensare, leggendo i commenti entusiastici dei critici su “In Rainbows”, che questi siano tutti rimbambiti, ottenebrati da una sorta di culto della personalità per il genietto di Wellingborough o, alla peggio, venduti.
Ma che colpa ne abbiamo se, a distanza di ben quattordici anni ormai dall’esordio con il sottovalutato “Pablo Honey”, i Radiohead sono ancora in grado di scrivere canzoni come 15 steps, dall’impianto fortemente percussivo, Bodysnatcher, un rock sporco e selvaggio, Nude, struggente e malinconica; o ancora, pezzi come Weird Fishes/Arpeggi, All I Need, con il suo cupo incedere e il folk obliquo ed un po’ ossessivo per chitarra acustica ed orchestrazioni di Faust Arp (in cui Yorke sembra voler giocare a fare il Tim Buckley del nuovo millennio)?
Per non parlare, poi, dell’articolata Reckoner, in cui il falsetto di Yorke svetta su un impasto di percussioni, soffici e misurati interventi di piano e chitarra ed orchestrazioni sintetiche, dell’ipnotica House Of Cards, dell’incalzante Jigsaw Falling Into Pieces, che sfodera il classico giro chitarristico à la Radiohead, o la conclusiva, desolata, Videotape, giocata su un piano che ripete sempre la stessa linea melodica, mescolandosi a loop percussivi e cori spettrali.
Punto di congiunzione tra il rock della prima fase (“Ok Computer” su tutti) e le sperimentazione elettronica della seconda (i dischi gemelli “Kid A” e “Amnesiac”), “In Rainbows” rappresenta l’ennesimo capolavoro della band inglese, la quale dimostra ulteriormente (se mai ce ne fosse bisogno) di essersi affrancata dai modelli stilistici del passato (Pink Floyd, Smiths, U2 ed altri) e di essere in grado di proporre in modo assolutamente convincente una nuova idea di canzone, basata su oblique melodie pop-rock, loop percussivi e manipolazioni elettroniche di ogni sorta, incastonate in strutture camaleontiche e sfuggenti ed impreziosite da testi cripitici ed allucinati e dal falsetto alienato di Yorke, indubbiamente uno dei migliori cantanti della sua generazione.
Oltre che per la qualità, si è parlato molto di questo disco per le innovative modalità di commercializzazione che i Radiohead hanno scelto: i pezzi del CD, infatti, erano disponibili sul web e scaricabili versando (o meno) una somma di denaro a piacimento. L’esperimento pare non sia proprio riuscito (solo tre utenti su cinque avrebbero effettivamente pagato il download, dicono alcune fonti), ma non importa: ciò che conta è che Thom Yorke e soci continuino a tirare fuori dischi geniali ed intensi come questo.
Voto: 9
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