(Autoprodotto/Kick Agency 2006)
Per quale motivo una band si dovrebbe dare la zappa sui piedi calandosi nei panni di qualcosa che non ha intenzione (o non è in grado) di fare, è qualcosa che francamente non capisco. In questo caso, mi sfugge per quale motivo gli Experiment sound Project col loro primo album mirino a sonorità progressive, quando invece di queste nel disco se ne trova davvero poco e niente.
I cinque invece suonano un hard rock con inserti progressive, una sorta di misto tra i Dream Theater più mosci, i vecchi Abissi Infiniti e un minimo di Marillion. Quindi una discreta presenza di tastiere, che raramente s’impongono, chitarre distorte e qualche cambio di ritmo senza eccessi.
Impossibile non sottolineare come Miracle in a stranger land inizi davvero male: eccetto l’introduzione, troviamo tre pezzi molto banali, dalla struttura orrendamente ripetitiva, un continuo di strofa-ritornello che stancherà chiunque si aspettava un minimo di progressive. Le melodie pure non colpiscono di certo, la voce per quanto di timbro non ignobile, non ha un minimo d’estensione, non riesce a trasmettere grandi emozioni e la pesantissima pronuncia italoinglese chiaramente non aiuta.
Per fortuna ci si tira un minimo su con Make It Possible e Where The Heart Is, pezzi leggermente più muscolari in cui c’è anche qualche minimo fraseggio fra chitarre e tastiere. Ma poi si ripiomba nel patetico con la ballata Elena, chiara dimostrazione di come gli Experiment si affoghino in qualcosa che è al di là della loro possibilità, addirittura arrivando a stonare.
Voto: 5
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