Tony Vigorito ‘Due giorni alla fine’

 

Di Marco Loprete

marcoloprete@yahoo.it

Tony Vigorito è un ex ricercatore e docente di sociologia alla Ohio State University. Da qualche tempo, però, conduce un’esistenza raminga sugli Appalachi, dove si mantiene scrivendo romanzi. Uno di questi, “Due giorni alla fine”, uscito nel 2001, è diventato negli USA un vero e proprio caso letteario, imponendosi come cult tra i lettori americani e conquistando l’Indipendent Publisher Book Award.

Pubblicato nel corso del 2007 in Italia dalla Barbera Editore, il testo ci viene presentato come “la migliore satira sulla fine del mondo” dopo ‘Il dottor Stranamore’, film di Stanley Kubrick. Andiamoci piano. Il testo di Vigorito, incentrato sulla diffusione di un virus, il Pifferaio Magico, un’arma batteriologica in grado di eliminare in tutti coloro che ne siano esposti la “capacità simbolica”, ovvero l’abilità di “utilizzare e capire simboli, linguaggio, parole”, è indubbiamente gradevole, ma è privo della forza grottesca, del sarcasmo e dell’antimilitarismo sferzante del film di Kubrick.

Non si può dire che l’opera sia superficiale o che non presenti elementi di interesse. Il punto è che qua e là spuntano alcuni clichè, in particolare le figure di Sophia e Blip Korterly, due hippie travestiti da professori universitari, e quella del sadico e fanatico generale Kiljoy – per non parlare della tesi che sottende tutta l’opera, ovvero l’idea secondo cui la società sia una sorta di enorme gabbia le cui sbarre siano costituite dal linguaggio, che anziché avvicinarci alla realtà ed alla comprensione, ce ne allontana. Persino lo stile, nel complesso indubbiamente vivace e tutt’altro che piatto, talvolta si traduce in un torrente di parole che, più che talento, rivela l’autoindulgenza dell’autore. 

Insomma, un libro che magari promette anche bene, ma che finisce col tradire le attese. Peccato.