Di Silvia Casilio
‘Vogliamo anche le rose’, questo il titolo di uno splendido film di Alina Marazzi che proprio in questi giorni sta facendo il giro delle sale cinematografiche italiane.
Il lavoro di Marazzi – a metà strada tra il film e il documentario, ricco di immagini e di suoni dell’epoca, annovera oltre alla brava regista collaborazioni illustri tra cui spiccano come consulente storico uno dei più attenti ed originali studiosi di quel ventennio Diego Giachetti e alla supervisione dei testi una delle penne più brillanti del panorama letterario italiano Silvia Ballestra – racconta e si colora delle storie di donne giovani e meno giovani vissute a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, donne in bilico tra gli entusiasmi, le paure, la voglia di cambiamento e l’incapacità di cambiare realmente di un paese lento e sornione con la testa proiettata nel futuro e con lo stomaco, la pancia, le gambe sprofondate in un passato cupo e triste fatto di tabù, di chiusure ataviche, nere costrizioni che si propongono e si ripropongono, ieri come oggi, nascoste sotto le tonache e le barbe di vecchi e nuovi predicatori, sempre e rigorosamente di sesso maschile, con la pretesa di decidere di corpi e di anime di cui dimostrano, ieri come oggi, di non sapere nulla.
Storie di donne, quindi, come quelle che con efficacia, sensibilità ma anche rigore scientifico, ci racconta Stefania Voli nel suo ‘Quando il privato diventa politico’ (Roma, Edizioni Associate, 2006, pp. 398, € 20,00). Protagoniste anche in questo caso sono giovani donne che, spinte dall’ondata contestataria che a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta aveva travolto gran parte del mondo, decisero di investire tempo e “vita” nell’impegno politico militando in quello che forse fu il gruppo della sinistra extraparlamentare italiana più ricco, originale, movimentista e provocatorio fra quelli nati dall’esperienza del ’68, Lotta Continua.
Originalità, capacità di vivere il e nel movimento, grande socializzazione e radicalizzazione dei militanti sia nelle realtà metropolitane che in quelle di provincia, dal nord al sud, furono alcuni degli elementi che caratterizzarono l’esperienza di Lotta Continua e che le permisero, da una parte, di essere una delle formazioni più longeve tra quelle della sinistra extraparlamentare e, dall’altra, di essere maggiormente e continuamente esposta a provocazioni, accelerazioni e dilanianti contraddizioni. Fra queste quella più evidente e forse dolorosa è rappresentata proprio dalle donne di Lotta Continua che dovettero fare i conti con l’impronta maschile e maschilista dell’organizzazione, impronta che risentì forse della matrice originaria fortemente operaista del gruppo stesso (p. 7).
Eppure le donne ebbero un ruolo importantissimo nella storia di LC non solo perché «aprendo le porte al femminismo» contribuirono all’implosione dell’organizzazione, ma anche perché la presenza femminile fu massiccia all’interno del gruppo sin dall’inizio:
Lotta Continua era un’organizzazione fortemente femminile – dice Franca Fossati a Stefania Voli – con una grande presenza delle donne: le donne erano in parte anche un’ossatura organizzativa, erano garanti della continuità (p. 24).
Per illustrare «la complessità dei processi sociali» che caratterizzarono quindi la nascita, lo sviluppo e la fine di LC, Voli prende in esame, accanto ai dati più prettamente politici, quelli riguardanti la vita interna dell’organizzazione, la militanza quotidiana, le storie individuali. Secondo la studiosa «ad ogni fase vissuta da Lotta Continua (risultato della sua esigenza di farsi portavoce di diverse realtà sociali presenti nel paese), corrisponde un mutamento della militanza di base e quindi delle vite personali di ciascun attivista» (p. 9). La vita personale dei militanti, infatti, si intrecciava e si lasciava condizionare dalle scelte politiche: «gli amici sono i compagni, l’amante è innanzitutto la compagna o il compagno».
Questo rapporto di causa-effetto esistente tra la vita dell’organizzazione e le storie individuali dei militanti si capovolgerà solo quando il femminismo diventerà un movimento politico di rilievo che pretenderà dal gruppo stesso cambiamenti radicali acquisendo la capacità di dare al “particolare” la forza di imporsi sul “generale”.
Attraverso le storie di vita e di militanza, che per molti poi furono sostanzialmente la stessa cosa per gran parte degli anni Settanta – «La vita» sostiene una delle donne intervistate nel libro «coincideva, vita, amicizia, amore, tutto coincideva in quegli anni. Per me è stata questa grande esperienza» (p. 29) -, di donne e di uomini che vissero quella stagione e fecero la storia di Lotta Continua, Stefania Voli ripercorre e ricostruisce con precisione il clima e il contesto dell’Italia di quegli anni: dal racconto traspaiono l’ansia, le trasformazioni, gli entusiasmi che spinsero molti giovani (uomini e donne) a mettere in discussione la propria esistenza e le proprie convinzioni.
Le vicende che si narrano nel libro sono quelle legate agli anni tra il 1968 e il 1976: dall’esplosione delle occupazioni studentesche allo scioglimento di Lotta Continua. Il 1968 e il movimento che in quell’anno crebbe all’interno delle Università ebbe un «valore di emancipazione dirompente» per le donne che vi parteciparono (Luisa Passerini, ‘Autoritratto di gruppo’, Firenze, Giunti, 1988, p. 134). Eppure il movimento si rivelò improntato su valori prevalentemente maschili e l’emancipazione femminile stessa si rivelò ambigua e attraversata da quelle stesse contraddizioni che esplosero quando le donne entrarono a far parte dei gruppi extraparlamentari.
Le donne, infatti, sia durante il ’68 che dopo, ricoprirono posizioni di quadri intermedi; pochissime furono riconosciute come leader: la donna distribuiva i volantini davanti ai cancelli della fabbrica ma a scriverli era un uomo.
Il movimento sessantottino, però, ebbe il merito di togliere il coperchio al vaso di Pandora: da quel momento in poi le donne non poterono più tacere fino a quando quelle contraddizioni esplosero con l’arrivo del femminismo e con la necessità sentita sempre più forte dalle militanti di “riprendersi la parola”. Il lavoro della studiosa torinese, infatti, si chiude nel giugno del ’76 quando a Rimini fu convocato il Congresso Nazionale, il II ed ultimo, di Lotta Continua e le femministe rivendicarono una propria centralità. Dopo questo momento fondamentale e per certi versi drammatico nella storia della sinistra extraparlamentare, le “compagne” che avevano affermato il desiderio della parzialità, della diversità, della specificità dei propri bisogni si dispersero nel movimento femminista senza, secondo Voli, fare i conti collettivamente con LC e con le ragioni che l’avevano condotta alla resa finale (p. 200).
Il femminismo, per dirla con Guido Viale, protagonista del ’68 torinese e leader di LC, chiuse un’epoca. «Per una cultura fondata sul dominio, sullo scambio, sui simboli (e per un maschio cresciuto a questa scuola)» ha scritto Viale nel suo ‘Il Sessantotto. Tra rivoluzione e restaurazione’ (Milano, Mazzotta, 1978 nuova edizione Rimini, NdA, in via di pubblicazione) «esso costituisce “l’impensato”».
Tema di questo libro – ha affermato Viale concludendo la sua presentazione al testo del ’78 – è il senso della liberazione (ed il senso di liberazione: ogni significato rimanda alle emozioni del corpo) che attraversa studenti ed operai nel momento in cui mettono in causa le forme specifiche di dominio da cui sono stati oppressi per due decenni o per mezzo secolo: la condizione sociale dello studente nell’università di massa e l’organizzazione del lavoro nella fabbrica taylorizzata.
Ma è difficile anche solo immaginare il senso di liberazione che attraversa una donna quando mette in causa una oppressione che dura da millenni; e che, in questa misura, si radica nella natura impostale dall’intera storia dell’umanità (che è innanzitutto storia del dominio degli uomini sulle donne).
Un uomo deve accontentarsi di prender atto di questo evento che gli viene incontro (e contro) cercando, per quanto è possibile, di adeguarvisi. Si dilata improvvisamente l’orizzonte del suo mondo; ma le cose si rendono più labili, e le certezze si fanno problemi. La realtà, quella che si è cercato per millenni di dominare, non è più ferma sotto i nostri piedi.
Dall’incontro felice tra la storia orale (assai interessante è la sezione del libro Testimonianze in cui sono riportate integralmente le interviste realizzate dall’autrice per realizzare il testo, pp. 213-349) e le fonti classiche della ricerca storiografica, ‘Quando il privato diventa politico’ ci restituisce lo spaccato di un’Italia politicamente e socialmente assai diversa da quella attuale. Il paradosso, però, (lo stesso stridente paradosso che non può sfuggire anche a colui o a colei che guarda ‘Vogliamo anche le rose’) è che dopo tanti anni, nonostante la tanto acclamata fine delle ideologie, nonostante il “secolo breve” si sia chiuso lasciandosi alle spalle lutti, guerre e stermini, nonostante la cosiddetta prima repubblica abbia lasciato il posto alla seconda – nuova eppure straordinariamente e malauguratamente simile nelle sue storture e nelle sue degenerazioni alla prima – repubblica, bene nonostante tutto ciò le questioni che spinsero tante donne a rivendicare il valore della propria diversità, a lottare per la propria autonomia politica e a scoprirsi soggetto politico sono ancora oggi drammaticamente irrisolte: libertà conquistate con lotte dure e sacrifici sono costantemente minacciate, diritti che sembravano ormai consolidati, ottenuti grazie alla tenacia, al coraggio e alla generosità politica di migliaia di donne più di trent’anni fa, oggi vengono messi in discussione e sembrano vacillare.
In quello che per dirla con Paola Cortellesi è diventato il Paese del “Riparliamone”, in cui sembra normale e possibile ridiscutere tutto, libri come quello di Stefania Voli e film-documentari come quello realizzato da Alina Marazzi – sebbene molto diversi tra loro essendo l’uno un testo storico e l’altro un prodotto cinematografico – sono importanti: entrambi danno voce alle donne, entrambi parlano del vissuto di queste donne, entrambi ci raccontano di nodi che sembravano ormai definitivamente sciolti.
Entrambi, a mio avviso, ci spingono comunque a porci delle domande e a riflettere sui pericoli che minacciano l’esistenza delle generazioni attuali e di quelle future, a valutare e riconoscere gli inganni che si celano dietro le parole di chi parla sempre in nome di qualcuno di più grande, dietro i gesti e gli atteggiamenti di chi ha la pretesa di possedere la verità spacciandola come una ricetta valida per tutti.
«Essere una donna» ha scritto Simone De Beauvoir «non è un dato naturale, ma il risultato di una storia»: le storie raccontate in ‘Quando il privato diventa politico’ e in ‘Vogliamo anche le rose’ si incontrano nella loro diversità e ci raccontano la Storia (quella con la S maiuscola) di un passato di lotte, di umiliazioni, di sconfitte e di incredibili vittorie che deve essere ricordato e custodito.